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Lo sharenting, il fenomeno dell’esposizione di bimbi e famiglie felici sui social

Un’abitudine che preoccupa gli esperti. Tanti i rischi dietro al diario di vita dei nostri bambini pubblicato online

Quando ero ragazzina mi fu diagnosticata la scoliosi. L’ortopedico, tra le altre cose, indicó ai miei genitori di iscrivermi a un corso di nuoto. L’occorrenza non si verificò: vuoi perché abitavamo in un paesino dove la piscina più vicina distava almeno quaranta minuti di automobile, vuoi perché i miei avevano il terrore dell’annegamento. La pratica fu archiviata, io non imparai mai a nuotare e nessuno di noi ci pensó più. Finché, un annetto fa, non ho deciso insieme a mio marito, di iscrivere il nostro bambino a un corso di nuoto. Mi sono entusiasmata dalla prima lezione e il petto mi si è gonfiato d’orgoglio quando Raffi ha mollato il giubbottino di salvataggio e ha preso il largo. L’emozione ha toccato l’apice quando, a giugno, ha fatto il suo  torneo d’esordio, piazzandosi primo nella sua micro batteria di “piccolissimi”.

In questo anno di iniziazione allo sport, abbiamo scattato decine e decine di foto e non abbiamo potuto fare a meno, soprattutto io, di condividerle, di tanto in tanto, sui social.

L’ho fatto per orgoglio e, senza scomodare Freud, probabilmente perché ho ricordato di quel corso di nuoto che non ho mai potuto fare, del mio non aver mai imparato a nuotare e dell’orgoglio per i piccoli successi di mio figlio. Non lo nego, sotto sotto e sopra sopra, sono stata fiera di rendere noto “al mondo” che il mio cucciolotto di uomo sa nuotare ed ha pure vinto una medaglia a neppure sei anni di età.

Oggi, leggendo un articolo su La Stampa, che parlava di “ostensione dei bambini sui social” ho riflettuto e approfondito.

Esiste un fenomeno definito sharenting (neologismo inglese che è la crasi di due parole, share – condividere – e parenting – genitorialitá), ossia condivisione social della genitorialitá, che ormai da anni è passato al vaglio di fior fior di esperti di psicologia e psichiatria.

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Sharenting, Di cosa si tratta?

Molto semplicemente la condivisione di tutti i momenti felici e di successo dei propri bambini.

Ed ecco sui social facce di piccini esattamente felici insieme a genitori, o nonni, fratellini, cuginetti o amici. Eccoli in vacanza, mentre si cimentano in prodezze degne di un atleta, o quando ricevono la loro medaglia sportiva o quando si incoronano con il “tocco” di avanzamento nella carriera scolastica, fosse pure il passaggio dall’asilo nido alla scuola dell’infanzia.
Un tripudio di “solo cose belle”, che è necessario è sufficiente per stare sui social.

I bambini nei social hanno solo vite perfette: genitori dediti e in perfetta armonia tra di loro, nonni impeccabili, rapporti di fratellanza da mettere in cornice e una vita sociale con i pari totalmente appagante.

La realtà è ovviamente un’altra storia.

Perché la perfezione non esiste: i bimbi piangono, fanno i capricci, fanno anche loro i conti con infelicità e frustrazioni. Di questo leggevo sull’articolo de La Stampa.

L’infanzia, definita con criterio l’età più bella, non è scevra di contrappunti, che riguardano i piccoli in sé, ma anche il ventaglio delle loro relazioni.
Esiste la solitudine delle famiglie disfunzionali o monche di qualche componente. Ci sono le gelosie tra fratelli, le difficoltà nei rapporti di amicizia. Per dirla in soldoni: un bimbo non è un bambolotto tutto sorrisi da immortalare nella sue pose più belle. I social però impongono questo a genitori che, proprio sulla scorta delle carrellate di vite felici che si vedono online, si sentono in dovere di dovere condividere a loro volta la felicità. Guai a pensare il contrario. Da lì la corsa forsennata al clic, che deve rispettare una serie di criteri. Un banco di prova che mette a rischio la serenità personale, familiare e soprattutto quella dei bambini.
Inconsapevolmente, dicono gli esperti, stiamo chiedendo loro di essere perfetti, perché sennò misera apparirebbe la vita di noi genitori in quel mare magnum che sono i social.

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Avete mai visto sui social un bimbo “perdente”?

Che non si inserisce bene nel gruppo degli amichetti, che tira un cazzotto al fratellino più piccolo solo perché ne è geloso, che fa spazientire i nonni, procacciandosi un brutto rimprovero? Che viene piazzato davanti ai cartoni perché la mamma non sa più cosa inventarsi per intrattenerlo?

Queste storie di ordinaria genitorialitá e di comunissima infanzia non vengono mostrate, perché dimostrerebbero che siamo tutti imperfetti in un mondo, quello social, che vuole esattamente il contrario.
Gli psichiatri parlano di frustrazione dei genitori, di ansia da prestazione, di necessità di avere bimbi performanti. Viene anche lanciato un sos sui rischi della sovraesposizione social dei più piccoli: l’azzeramento della privacy, ma anche rischi ben più importanti per i nostri piccini allorquando diventano di dominio pubblico.

È questo lo sharenting ed alzi la mano, io per prima, chi non ha ceduto alla sua tentazione almeno una volta? Viene da chiedermi: perché un tempo la felicità, nei suoi rarissimi istanti,  non si faceva in tempo a metterla in cornice ed oggi invece devi fotografarla in ogni suo momento?

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