È allarme listeriosi? Dopo due recenti morti associate all’infezione, montano le domande. L’ultimo decesso è quello di un settantacinquenne di Campobasso, deceduto nei giorni scorsi dopo essere entrato in contatto con il batterio. Secondo le ricostruzioni, l’anziano avrebbe accusato i primi sintomi dopo aver mangiato un latticino fresco. La notizia si aggiunge a quella del ritiro dal mercato di un lotto di wurstel e di un altro di pancake contagiati dal batterio. In realtà le infezioni da listeria ci sono sempre state, negli ultimi due anni ne sono state verificate in Italia 66 (casi clinici) e si sono contati in tutto tre morti.
C’è davvero da temere un allarme collettivo o si tratta di un’occorrenza contenuta?
Ne abbiamo parlato con il professore Antonio Cascio, infettivologo e primario al Policlinico di Palermo.

“Escluderei allarmismi. Nelle ultime settimane, si sono verificati casi di listeriosi con una frequenza maggiore, ma da questo a parlare di un’emergenza collettiva ne corre. Gli alimenti che possono essere contaminati dal batterio della listeria sono tanti e tali, che parlare di allarme significherebbe limitare immotivatamente un’ampia fetta dei consumi alimentari. Prudenza si, ma senza terrorismo psicologico.”
Cos’è la listeria?
Si tratta di un genere di batteri diffusi nei terreni, nelle acque e nelle piante, che si distinguono per la capacità di resistere alle basse temperature – anche sottozero – e agli ambienti salati. Queste forme di vita possono aggredire il sistema immunitario, provocando la tossinfezione a essi associata, chiamata listeriosi, la cui fase di incubazione può essere rapida o durare anche fino a diverse settimane. Nella forma più grave e invasiva, detta anche sistemica, l’infezione si trasferisce dall’intestino al sangue, propagandosi nell’organismo fino al sistema nervoso, causando, seppure raramente, encefaliti, setticemie e meningiti, con incubazioni più lunghe.
Per gli esseri umani, i principali vettori di Listeria monocytogenes sono le carni di animali allevati o selvatici, che a loro volta possono venire a contatto con il batterio nutrendosi di mangimi o vegetali contaminati. Molti animali contagiati dal batterio non mostrano sintomi evidenti, pur facilitandone la diffusione, che avviene anche tra persone: bastano concentrazioni minime del batterio per provocare l’infezione.
Quali alimenti possono trasmettere la listeria?
Il batterio può contaminare una grande varietà di cibi crudi, dalle carni ai vegetali, ma si può rinvenire anche negli alimenti trasformati, come i formaggi e i prodotti confezionati a base di macinati. I latticini, soprattutto quelli non pastorizzati, sono più a rischio, così come tutte le materie prime affumicate a freddo da crude, come il salmone. La tossinfezione, inoltre, si può contrarre mangiando alimenti mal conservati o venuti a contatto con acque o terreni contaminati.
Diversamente rispetto alla maggior parte dei batteri, la Listeria monocytogenes può moltiplicarsi anche in frigorifero, inoltre, pur essendo eliminabile alle alte temperature, è in grado di infettare i cibi pronti dopo la cottura e prima del confezionamento.
Chi è più a rischio?
Ribadendo che non siamo di fronte ad alcun allarme, perché i casi più gravi sono fortunatamente pochi e isolati, va detto che devono prestare attenzione le donne gravide, gli anziani e i soggetti immunocompromessi. Nessuna demonizzazione di classi di alimenti, se però apparteniamo ad una delle categorie precedenti occorre più attenzione e l’indicazione a consumare gli alimenti ben cotti. Le alte temperature infatti uccidono il batterio.
Quali i sintomi da listeriosi?
Generalmente la listeriosi provoca brividi, febbre e dolori muscolari (come l’influenza) accompagnati da nausea, vomito e diarrea.
I sintomi si risolvono nel giro di 1-7 giorni. La terapia è sintomatica ed antibiotica.
Se si sviluppa la listeriosi invasiva, che è rara, i sintomi variano e possono portare a complicanze importanti come la meningite (i pazienti lamentano cefalea e rigidità nucale. Potrebbero presentarsi stato confusionale e perdita dell’equilibrio), l’encefalite, nelle donne incinta
l’infezione dell’utero o della placenta, che può avere come conseguenza l’aborto spontaneo o la morte in utero del feto. Due terzi dei neonati sopravvissuti sviluppano la listeriosi, che può dar luogo a un’infezione del sangue (sepsi) o alla meningite. I casi più gravi sono però una minoranza. Occorre prudenza, come già detto, se si è gravide, anziani o immunocompromessi. Piccole cautele, quali consumare i cibi ben cotti, possono eludere nettamente i rischi legati a un’eventuale infezione da listeria.