Cari vecchi come me, e per vecchi intendo tutti coloro che sono nati prima dei duemila, vi ricordate come trascorrevate da bambini la vostra settimana d’influenza nell’era paleolitica? Volete che vi rammenti la nostra mitica settimana di vacanza da scuola causa malattia?
Eccomi qui ad aprire il cassetto della memoria.
Partiamo dal termometro ad alto tasso chimico, con il suo mercurio galleggiante e poco baby friendly e dal rivestimento in vetro ghiacciato che, a contatto con l’ascella calda, ti faceva schizzare in aria come se ti avessero morso il fondoschiena (sempre che non fosse il vostro deretano ad accogliere il termometro!).
Una volta accertata la malattia, grazie alla diagnosi del dottore accolto a casa con tutti gli onori come se fosse lo zio Tom dall’America, iniziava la settimana di mummificazione preceduta da riti satanici quali: unzione del petto con crema Vicks dalla puzza indelebile di eucalipto; aerosol casalingo con bacinella colma di liquido indistinto fumante da inspirare ed espirare sotto l’asciugamano di Natale ricamato dalla nonna; pezze bagnate da applicare sulla fronte da far sfumare come si sfuma il vino nel risotto; infine, nei casi estremi di febbre alta resistente alle pezze fredde, si ricorreva alla vecchia e misteriosa vicina di casa promotrice dell’antica arte voodoo del piatto poggiato sulla testa su cui veniva versato dell’olio bollente con l’obiettivo medico di azzerare la febbre e con l’obiettivo sciamanico di togliere il malocchio. Perché anche il malocchio fa i suoi danni insomma!
La settimana di malattia
Quindi iniziava la settimana di malattia. Immobili. Mummificati a letto sotto sei strati di coperte recuperate del baule invernale. Non potevi fare nulla, eri malato e, al massimo, potevi tirar fuori la mano per accendere e spegnere l’abat jour sul comodino.
Chiudevano la porta della tua cameretta e la aprivano velocemente per lanciarti una rivista, per misurarti la febbre o per farti la puntura, perché le punture erano LA (il maiuscolo non è un caso) soluzione.
Gli unici momenti in cui potevi uscire dal loculo infetto erano tre: per andare in bagno, per cibarti a orari differenti dal resto della famiglia sana, per telefonare al compagno di banco che, unico contatto con l’esterno, ti aggiornava sulla vita che continuava ad andare avanti anche senza di te.
L’influenza stagionale deve essere educativa
Adesso no. Adesso anche la malattia deve essere pedagogicamente costruttiva. Lo spirito di Maria Montessori aleggia e padroneggia pure se tuo figlio ha 40 di febbre. Non sia mai che la settimana di malattia debba trascorrerla come un’ameba davanti la tv o immobile nel letto sarcofago come Tutankhamon insegna!
Il caro vecchio termometro vintage è stato sostituito (era ora!!) da un tecnologico termometro elettronico che, se solo osa segnare mezzo decimo di temperatura in più (ad es. 37.6), fa partire la chiamata diretta al pediatra, che ha tutta la mia sincera solidarietà nella stagione influenzale.
Altro che zio Tom dall’America, il pediatra 2.0 corre alla velocità della luce da una casa all’altra, per placare tutte le urgenze, dal “mio figlio quando respira, grugnisce” al “mio figlio quando tossisce, nitrisce”. Sempre lui, il pediatra, con le scarpe di Bolt ai piedi e vestito come il Dalai Lama per infondere calma ai genitori e pazienza a se stesso, ha due minuti esatti per trovare una mediazione tra la diagnosi medica e l’autodiagnosi su Google fatta dal genitore.
Febbre e Maria Montessori
Quindi inizia la settimana di malattia del bambino e no, non si svolge a letto sotto le montagne di coperta.
No, perchè deve essere una settimana costruttiva: tra un antibiotico e l’altro bisogna impilare i cubi montessoriani, tra un aerosol e l’altro (a forma di pinguino o maialino così il bimbo non viene traumatizzato), bisogna vedere alla tv i documentari Save the Planet. Lo sciroppo non va infilato in bocca a mò di tiro al bersaglio e con la minaccia della cucchiarella sul sedere, no…perché con i bambini si parla dolcemente, bisogna convincerli senza ricatti a prendere lo sciroppo all’essenza di vaniglia, mentre tu da piccolo eri costretto ad ingurgitare lo sciroppo al cianuro. I compiti, poi, vengono recuperati quasi subito senza la fatica di telefonare al compagno, dato che dalle ore 14 il whatsapp della scuola si infiamma di compiti svolti a scuola e compiti assegnati.
Se tu, genitore distrutto dalle nottate, proponi a tuo figlio di stare al caldo sotto le coperte e riposare tranquillo in cameretta, rischi che ti appaia l’ologramma di Maria Montessori che, col dito puntato sulle tue occhiaie, ti minaccia di pene infernali se non proponi una giornata costruttiva al tuo bimbo con 40 di febbre. Quando ti ricapita più di averlo a casa e trascorrere con lui del “tempo di qualità”!
Perché i nati dopo il duemila non sono delle amebe come eri tu da bambino, non si accontentano del Corriere dei Piccoli, no! Loro a letto non ci stanno, piantano la tenda dei virus in ogni stanza della casa e brindano alla settimana di vacanza con l’antipiretico, il cui effetto equivale a una lattina di Redbull.
L’unico momento in cui stanno fermi, bloccati dall’abbraccio tentacolare del genitore, è il momento del termometro. Ed è lì, caro genitore del duemila, che devi approfittare di 5 minuti di sonno, chiudi gli occhi, fatti avvolgere dalle temperature incendiarie del tuo piccolo e riposa fino al bip bip del termometro.
Dopodiché, tira fuori il termometro e sii furbo, prenditi la tua rivincita con Maria Montessori e con l’idea del genitore costruttivo sempre e per sempre e dì a tuo figlio: “forse il termometro non funziona, riproviamo a misurare la febbre”.
E riposa, caro genitore del duemila, riposa un’altra volta, che ne hai bisogno!
2 risposte
Articolo esilarante e soprattutto veritiero!?
Grazie mille!