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La gaffe del deputato grillino, che spiffera sul palco il pettegolezzo: “Quel candidato dice di non votare le donne”

Succede durante un comizio a Casteltermini ed è bufera

È notorio che il pettegolezzo sia parte dell’essere comunità. Siamo sinceri, a chi non è successo di essere tentati dal pronunciare  o anche solo dall’ascoltare quella certa chiacchiera succulenta sul conoscente, l’amico, il parente o il vicino di casa? Capita, almeno una volta nella vita, a tutte le latitudini. Nei piccoli centri il chiacchiericcio trova facile e maggiore cassa di risonanza. Ci si conosce tutti e quindi “niente si fa che nulla si sa”. Ed alla base di quel che stiamo per raccontare c’è proprio un pettegolezzo, un sentito dire, un “pare che”, uscito però fuori dal micro contesto e, ahinoi, finito sulla bocca di un rappresentante politico regionale durante un pubblico agone elettorale.

succede a Casteltermini

I fatti capitano a Casteltermini, nella zona montana dell’agrigentino, dove, a Dio piacendo, tra un paio di settimane dovrebbe essere finalmente eletto il sindaco. L’auspicio è d’obbligo, poiché nel paesino, oggi ottomila anime, un tempo quasi il doppio, manca il primo cittadino da più di un anno. In questo tempo di vacatio si sono avvicendati ben quattro commissari ad acta (manco si trattasse di governare una città metropolitana). L’ultimo sindaco eletto risale alla primavera del 2017, tale Gioacchino Nicastro, imprenditore molto noto nella zona, quotato all’epoca da una fitta coalizione un po’ di destra, un po’ di centro ed anche sfumatamente di sinistra. Nicastro la spuntó per una manciata di voti sull’avvocato Filippo Pellitteri, candidato dei Cinque stelle, che però, detto fatto, all’indomani delle elezioni presentó ricorso. La motivazione: Nicastro non poteva essere eletto perché amministratore delegato di una clinica convenzionata con il sistema sanitario nazionale quindi, a detta di Pellitteri, in pieno conflitto di interessi. La giustizia fa il suo corso (non velocissimo, ovviamente) e, per farla breve, prima dà torto a Pellitteri, poi ne accoglie il ricorso ed é così che il grillino indossa la fascia tricolore (siamo nel luglio del 2019). Trascorrono però circa quaranta giorni ed ecco che la controparte ha di nuovo la meglio. Pellitteri deve “restituire” la fascia e, seguendo la sentenza della Corte di Cassazione, si deve andare a nuove elezioni. Pellitteri passa alla storia per la sua sindacatura flash. Mentre Pellitteri e Nicastro si battono nelle aule dei tribunali a suon di ricorsi, nel paesino si avvicendano quattro commissari, capita anche l’emergenza Covid e nel frattempo il comune seguita ad essere in stato di dissesto finanziario (condizione nella quale versa da quasi un decennio). Dissesto che politicamente ed amministrativamente equivale a immobilismo, a bilanci non approvati, a precari non stabilizzati, nella pratica si traduce in famiglie sull’orlo della povertà, in decine di attività commerciali chiuse, in mancati incentivi culturali e sociali per i giovani, in centinaia di case in (s)vendita e molto altro ancora.

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Nella contesa del 2017 si staglia una terza figura, Arturo Ripepe, impiegato, noto attivista politico locale (per diverso tempo vicino alle sponde cuffariane, quindi a quelle “dimauriane, per un paio di decenni è stato anche il patron delle “cooperative” che vedevano al centro diverse centinaia di cosiddetti lsu) anch’egli in corsa tre anni fa alla poltrona di primo cittadino. Si piazzò ultimo nella contesa. Oggi i tre vecchi aspiranti sindaci ci riprovano, con alle spalle coalizioni rimaneggiate (qualcuno che affiancava Nicastro è passato dalla parte di Ripepe, tra i candidati grillini, a voler scavare, c’è qualche rigurgito di politica “alla vecchia maniera”) e candidati al Consiglio che, grosso modo, fanno il bis. Sotto il sofferente cielo castelterminese nulla di nuovo o quasi. Perché questa lunga premessa? È necessaria per comprendere meglio i fatti. Inizia la campagna elettorale, la presentazione al pubblico delle liste (in verità manca quella di Nicastro, ma hanno tempo), i primi comizi. Casteltermini, per via delle sue sabbie mobili amministrative, è diventata suo malgrado una realtà singolare agli occhi dell’Italia intera, del paesino ha parlato financo Il fatto quotidiano.

Il primo lampo della campagna elettorale

Sul palco della bella piazza Duomo si sentono grosso modo le solite cose: accuse reciproche, invettive, voci grosse e dita puntate, rimbalzi di responsabilità, ragioni del dissesto ricercate nella notte della notte dei tempi e poi la retorica del nuovo che avanza, dell’antico che ha esperienza, del saremo più forti di prima, della sfida accettata per salvare le sorti del paese e via discorrendo. Pochi i lampi di luce dei buoni propositi esposti tout court durante l’agone. Eppure quelli vorrebbe sentire la fetta di elettorato libera da qualsivoglia condizionamento (ed in un paese di poche anime, che negli ultimi trent’anni campa essenzialmente di articolisti, di ex lavoratori socialmente utili e di impiegati nella poche attività produttive, è una quota minore). Ieri sera però arriva il fuoco d’artificio, la prima movimentazione di questa attesa e finora poco esaltante campagna elettorale. E chi accende la miccia? Non un candidato, neppure un detrattore, quanto un deputato all’Ars. Si tratta di Giovanni Di Caro, portavoce dei Cinque stelle all’Assemblea regionale siciliana. Di Caro è venuto in sostegno della squadra grillina, apre il comizio e prima di dare parola all’aspirante sindaco Pellitteri inciampa su un pettegolezzo che riguarda un candidato della controparte. Si tratta di Pippo Puleo, storico uomo della sinistra locale, attivista, già consigliere e assessore comunale ed oggi candidato al Consiglio a sostegno di Arturo Ripepe (nel 2017 era stato dalla parte di Nicastro).

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Di Caro chiosa così: “Qualcuno mi ha detto che Pippo Puleo dica in giro di non votare per le donne.” Da lì la disquisizione accorata circa il riprovevole proposito di cui si sarebbe reso responsabile Puleo. Iniziano gli sguardi e le voci di disapprovazione, quindi si passa avanti e la cosa pare finita lì. Ma così non è. Puleo mal digerisce l’accusa e detto fatto, poco dopo ecco il deputato Di Caro che in diretta dal suo Fb porge le scuse, riconosce le colpe e ammette: “Prima di salire sul palco qualcuno mi ha detto che Pippo Puleo invitava a non votare per le donne. Pare che non sia così. Mi scuso e invito Puleo a dire qualcosa.”

E Puleo esordisce sventolando a favore di web camera il suo “santino” elettorale che lo vede in foto niente popó di meno che con una candidata donna, nell’indicazione della doppia preferenza. La gaffe risulta evidente, quasi grottesca.

I due siglano la pace politica. A chi c’era ed ha visto di persona ed a chi invece ha assistito grazie ai social restano domande (tante) ed anche l’amaro in bocca. I punti cardinali di tutta questa vicenda sono un paesino (che fu una stella luminosa per l’economia, la società e la cultura dell’Isola) sull’orlo del precipizio, una proposta elettorale che, stringi stringi, somiglia parecchio  alla poco felice esperienza di tre anni fa, un elettorato disorientato, e sul palco il primo “lampo di genio”. Un lampo che non corrisponde a una proposta, a un’idea, a un piccolo o grande proposito, ma  a un pettegolezzo, quello classico da “qualcuno mi ha detto che”, riferito da un rappresentante politico regionale. In mezzo c’è l’accusa all’avversario,  il clichè del maschilismo e quello dell’inadeguatezza femminile a ricoprire cariche istituzionali. Capita questo nelle elezioni per il sindaco di un piccolo paese, una comunità che il grosso d’Italia non conosce e che però può riflettere una realtà ben più grande e questo deve darci modo di pensare. Si inciampa sulla buccia di banana, si tira fuori il solito luogo comune, che ahimè, mette in mezzo le donne e si finisce con l’incassare solo una brutta figura. Peccato.

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