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La Fibrosi cistica raccontata dalla dottoressa Collura, che dirige un centro dedicato alla cura

Intervistiamo la dottoressa Mirella Collura, che dirige il centro FC dell'ospedale Di Cristina- dei bambini di Palermo

Alla guida del reparto di Fibrosi Cistica dell’ospedale Di Cristina – dei bambini di Palermo c’è la dottoressa Mirella Collura, una stimata professionista, che da oltre un trentennio si occupa di questa complessa malattia e che dirige da dodici anni un team medico e paramedico di tutte donne.

La dottoressa Mirella Collura, direttore del centro Fibrosi cistica del Di Cristina

Se dici Fibrosi cistica il pensiero corre a una malattia genetica grave. Oggi la patologia non è più definita rara, considerato il numero di persone che ne è affetto, in Italia sono infatti circa 6000 i casi attualmente accertati. La Fibrosi cistica è una malattia ad alto impatto sociale, è causata da una mutazione genetica ed è ereditaria. Una patologia sì grave, degenerativa, che però il progresso medico e scientifico sta riuscendo a curare con successo, migliorando la qualità e l’aspettativa di vita di chi ne è affetto.

Abbiamo chiesto alla dottoressa Collura di parlarci di Fibrosi cistica e dell’importante reparto che dirige

Dottoressa Collura cos’è la Fibrosi cistica?

La fibrosi cistica (in passato chiamata mucoviscidosi) è una malattia genetica a trasmissione autosomica, cioè può essere trasmessa da un genitore a un figlio. É  presente dalla nascita in quanto dovuta a una mutazione del gene Cftr. Chi nasce malato ha ereditato sia dal padre che dalla madre il gene mutato. Padre e madre sono, quasi sempre senza saperlo, portatori sani di una copia di tale gene, che normalmente determina la sintesi di una proteina chiamata CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Conductance Regulator), deputata al regolare funzionamento delle secrezioni di molti organi. Tale proteina funziona poco o per niente in chi nasce con la doppia copia del gene mutato. In Italia c’è un portatore sano ogni 30 persone circa. La coppia di portatori sani, a ogni gravidanza, ha una probabilità su quattro di avere un figlio malato, cioè con due copie del gene mutato. Va specificato che esistono oltre 2000 mutazioni genetiche, che possono determinare la malattia e in alcuni centri, tra cui anche il nostro di Palermo, è possibile fare i test per l’individuazione di tutte le mutazioni note.

Quali i meccanismi organici attivati da questa malattia?

La fibrosi cistica altera le secrezioni di molti organi che, risultando più dense, disidratate e poco fluide, contribuiscono al loro danneggiamento. A subire il maggiore danno sono i bronchi e i polmoni: al loro interno il muco tende a ristagnare, generando infezione e infiammazione ingravescenti. Queste, nel tempo, tendono a portare all’insufficienza respiratoria. Oltre che respiratori, i sintomi sono a carico del pancreas, che non svolge l’azione normale di riversare nell’intestino gli enzimi: ne deriva un difetto di digestione dei cibi, diarrea, malassorbimento, ritardo di crescita nel bambino e scadente stato nutrizionale nell’adulto. Il progredire del danno pancreatico porta spesso con l’età a una forma di diabete. Altre manifestazioni possono riguardare l’intestino, il fegato, le cavità nasali e nel maschio i dotti deferenti. Compromesse abitualmente sono le ghiandole del sudore, che producono un sudore molto salato, evento che rende il test del sudore fondamentale per la diagnosi.

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Come capire se un bimbo è affetto da Fc?

Da qualche decennio esistono gli screening neonatali, Il test viene effettuato entro 2-3 giorni dalla nascita del bambino. Si tratta di un esame non invasivo, che prevede il prelievo di una goccia di sangue dal tallone dal neonato, che viene raccolta su un cartoncino assorbente e inviata per l’analisi al centro di riferimento regionale. In questo modo, in meno di cinque giorni, è possibile scoprire l’eventuale positività a una delle 49 malattie congenite, compresa la Fibrosi cistica. Qualora il test dovesse dare esito positivo, lo si ripete dopo qualche settimana e se anche il secondo esame dovesse confermare i risultati del precedente, si inizierà l’iter diagnostico per Fc. Capita, seppure in quota assai basse, che qualche piccolo ammalato di Fc sfugga allo screening neonatale (i cosiddetti falsi negativi) e quindi ci si accorgerà della patologia in un secondo tempo. I campanelli di allarme, che solitamente mettono in allerta il pediatra di libera scelta, sono le frequenti infezioni delle alte e basse vie respiratorie, la sindrome da malassorbimento, che causa un difetto di crescita nei piccini, i frequenti problemi intestinali (diarrea, feci gialle e oleose). Dai sintomi sospetti, il pediatra indirizzerà i genitori verso ulteriori accertamenti. Va detto che esistono diagnosi tardive di fc in giovani adulti, che per esempio scoprono la malattia per delle pancreatiti o perché non riescono ad avere figli. La maggior parte degli uomini con fibrosi cistica (tra il 97 e il 98%) ha l’assenza bilaterale congenita dei dotti deferenti, con conseguente assenza degli spermatozoi nel liquido spermatico. Questa condizione è chiamata azoospermia ostruttiva ed è causa di infertilità. Le diagnosi in età adulta indicano, generalmente, una patologia con un decorso meno importante, rispetto alle diagnosi fatte nella prima infanzia.

Quali i test per la diagnosi della fibrosi cistica?

Come già detto, si inizia con lo screening neonatale. Pur con test negativo, in caso di sintomi sospetti il bambino, su assist del pediatra, sarà sottoposto al test del sudore, che è del tutto indolore e serve a sollecitare la produzione di sudore così da verificarne la concentrazione di sodio e cloro, che è più alta nei pazienti malati. Qualora il test desse risultato positivo, andrà ripetuto a distanza di qualche settimana e in caso di ulteriore conferma, si passerà all’iter diagnostico previsto dai centri di riferimento: esami del sangue per la ricerca delle mutazioni e da lì l’inserimento nel percorso terapeutico.

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Quali invece gli esami prenatali, nel caso in cui in famiglia vi siano dei casi di Fc?

Oggi la medicina consente una maternità consapevole anche alle famiglie in cui vi sono altri bambini o componenti il nucleo familiare affetti da questa patologia. Alla mamma gravida si esegue il prelievo dei villi coriali, un test ad altissima attendibilità. Esistono inoltre esami genetici, che possono essere eseguiti al momento della pianificazione di una gravidanza, atti a verificare eventuali mutazioni genetiche nei partner e quindi a determinare l’eventuale presenza dei portatori sani della malattia.

In caso di diagnosi, che percorso inizia per il malato e per la sua famiglia?

Subito dopo la diagnosi per il malato e per la sua famiglia inizia letteralmente una nuova vita. La Fc è indubbiamente una malattia grave, che oggi deve fare meno paura rispetto a venti anni fa. La diagnosi viene ovviamente vissuta con terrore da parte dei genitori, che vengono immediatamente supportati dalla figura dello psicologo, che non deve mai mancare in un centro per la cura della Fibrosi cistica. Dopo la diagnosi c’è la presa in carico nel centro di riferimento regionale. Con la legge 548 del 1993 ogni regione deve avere un Centro Fibrosi cistica di riferimento regionale, alcune regioni, come la Sicilia, ne hanno più di uno: il nostro, che è un centro di coordinamento di rete, quello de Policlinico di Messina e quello del Policlinico di Catania. La diagnosi porta all’inizio di un cammino, che riguarderà tutta la famiglia, poiché, ad oggi, non esiste una cura risolutiva della Fc. Il paziente dovrò convivere non solo con la malattia, ma anche con una serie di ‘rituali’ terapeutici quotidiani, che serviranno a curarne i sintomi e a prevenirne le complicanze. Esistono protocolli farmacologici condivisi a livello internazionale che, presso centri specializzati, vengono adattati all’età e ai sintomi del singolo malato. In linea generale prevedono antibiotici per le infezioni polmonari, aerosol di antibiotici e farmaci fluidificanti le secrezioni, fisioterapia respiratoria, enzimi digestivi, nutrizione ipercalorica, trattamento delle complicanze. Il trapianto polmonare è una prospettiva terapeutica per i pazienti con insufficienza respiratoria irreversibile.

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I progressi medici sul fronte della Fc?

Sono tanti e importanti. Consideriamo che una ventina di anni fa l’aspettativa di vita di un malato si aggirava intorno ai quindici anni, oggi siamo arrivati a oltre 40 e siamo fiduciosi che, grazie alla ricerca, questa grave patologia possa diventare una malattia cronica dell’adulto. Da qualche anno disponiamo, ad esempio, di farmaci, detti modulatori, che permettono alla proteina alterata di ricominciare a funzionare. Ahimè possono essere prescritti solo per particolari mutazioni genetiche, la buona notizia però è che quasi la metà dei malati riesce a curarsi con le terapie innovative, ciò ci fa ben sperare. Inoltre, per i malati con grave compromissione della funzionalità polmonare ed epatica, c’è la prospettiva del trapianto d’organo. Una strada sicuramente non facile, che però si è rivelata efficace.

Possiamo affermare con cognizione che oggi, il malato di Fibrosi cistica riesce ad avere una vita quanto più normale possibile: sia a livello individuale, che sociale.

Lei dirige un team che ha una grande responsabilità: curare pazienti che non sono “guaribili”, ma che possono vivere al meglio i loro giorni, come affronta questo incarico?

Dirigere un centro di Fc non è semplice, ma per quanto mi riguarda è una vocazione di vita e di professione, che svolgo da dodici anni come direttore e da un trentennio come medico. Se questa malattia non è guaribile, non si deve pensare che non sia curabile. Occorre avere fiducia nella medicina e trasmettere la stessa fiducia a pazienti e familiari, certi che a ciascun malato si debba offrire il massimo, vuoi potenziale come medico,  terapeutico e soprattutto umano. Coordino un team multidisciplinare, poiché la patologia va inserita in un contesto di cura assai ampio. Nel nostro centro vi sono sei pediatri esperti in problemi respiratori, me compresa, una dietista, una genetista, la psicologa, l’assistente sociale, i fisioterapisti. Un lavoro corale, che cerchiamo di svolgere quotidianamente come una missione, perché questo è, o almeno dovrebbe essere sempre, il mestiere di medico.

 

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