Quanti di voi hanno iscritto i figli in piscina? Io due figli su due. Una kamikaze!
Rinascessi sociologa, argomenterei la mia tesi di laurea sul capitale umano di genitori che si aggirano all’interno della piscina durante e, soprattutto, dopo l’allenamento dei propri figli.
La piscina è un luogo in cui si perde il contatto con la realtà, al di fuori del tempo, dello spazio, della forma e della sostanza.
Lo spogliatoio come il Mulino Bianco
Lo spogliatoio, poi, è quel luogo in cui anche il genitore più a modo, quello a cui si ispira la Mulino Bianco, si trasforma in Cerbero.
Ma analizziamo nei dettagli il comportamento di un Genitore Tipo all’interno del “Luogo Piscina”.
Il primo step è il parcheggio. Avete presente “Hunger Games”? Il film futuristico e fantascientifico in cui giovani concorrenti partecipano ad una competizione televisiva che prevede la sopravvivenza di uno solo? Ecco, vi assicuro che il regista si è ispirato al Genitore Tipo della piscina.
La gara di sopravvivenza inizia con la caccia al parcheggio più vicino all’ingresso, non sia mai che “mio figlio, che ha 19 anni e mezzo, possa prendere un’otite dopo l’allenamento perché costretto a fare dieci metri a piedi”.
Varcata la soglia, il Genitore Tipo dotato di occhiali, borbotta la prima imprecazione. Lo sbalzo termico è tale da appannare le lenti e anche il contatto con la realtà. Io faccio parte del Genitore Tipo dalle lenti annebbiate e mi scuso ufficialmente con chiunque di voi si sia sentito in dovere di salutarmi pur non conoscendomi.
Il genitore guardaroba
Il Genitore Tipo quindi si trasforma in un guardaroba umano: la bomba calorifera a cui grandi e piccini sono immediatamente sottoposti, necessita di un denudamento repentino e di un lancio perfetto, in direzione dei tentacoli del genitore, di cappelli, sciarpe, giubbotti, ma anche scarpe.
E qui arriva la fase più difficile. Il Genitore Tipo bardato come l’Albero di Natale del Rockefeller Center di New York, deve riconquistare un minimo di decenza e compiere il classico movimento del fenicottero dalla gamba piegata per indossare i calzari, mantenendo un equilibrio che non gli fratturi il femore a vita.
I calzari rappresentano quella fase di passaggio per cui il Genitore Tipo entra direttamente a far parte del gruppo antimicotico più igienico del paese, guai toglierli d’ora in poi, farebbe la fine dell’untore ne “I Promessi Sposi”!
E’ il momento di varcare un’altra infernale soglia, quella dello spogliatoio.
Lo spogliatoio è un luogo mitologico in cui il Genitore Tipo rivive le estati caldo umide delle città settentrionali quando, da universitario meridionale in trasferta, unico superstite della città a fine luglio, in stile Walking Dead doveva svolgere l’ultimo esame della sessione estiva.
Il figlio entra in acqua e il Genitore Tipo ha circa un’ora di tempo in cui può riconquistare la forma solida ed andare in giro a compiere commissioni di 10 minuti ciascuna (rischiando di perdere il parcheggio perfetto dinanzi alla piscina) oppure può mantenere lo stato liquido (ma anche gassoso) per ammirare le gesta del figlio natante.
La piscina e la nostalgia
Il Genitore Tipo decide quindi di rimanere lì con altri genitori calzarimuniti e, subito, vive un momento “nostalgia canaglia”. Ogni piscina che si rispetti è dotata di grandi vetrate che permettono ai genitori di ammirare il proprio figlio-pesce. Beh, quelle vetrate, quei calzari, quei cellulari pronti ad immortalare il figlio, quelle mani che toccano il vetro e che cercano di intercettare lo sguardo del figlio che nuota in apnea, non vi ricordano niente? A me sembra di rivivere il momento in cui sono nati i miei figli e si andava a schiacciare il muso contro le vetrate del Nido dell’Ospedale per guardare stralunati i piccoli neonati.
Ma questa visione idilliaca termina presto.
I rari papà presenti si dotano di cuffie alle orecchie e iniziano a fissare un punto indefinito davanti a loro; le nonne “idolo delle mamme” si abbandonano ad una sedia con il cappotto arrotolato intorno al braccio, in uno stato quasi catatonico, da risparmio energetico, perché sanno che, tra meno di un’ora, dovranno affrontare lo spogliatoio; le mamme.. come al solito si dividono in varie categorie.
Le mamme da gruppo whatsapp che DEVONO continuare il discorso iniziato in chat relativo alla sfumatura dell’ombretto permanente da applicare per il saggio di Natale.
Le mamme “vetrate dipendenti” (parte I) che fanno toc toc al vetro, ciao con la manina, gesti inconsulti direzionati ai figli per comunicare il loro dissenso o la loro approvazione o che mimano lo stile di nuoto in atto trasformandosi in rana, farfalla o delfino.
Le mamme “vetrate dipendenti” (parte II) che allungano il collo per cercare di seguire i movimenti dell’obiettivo da loro puntato.. e no, non è il figlio, bensì l’istruttore del figlio.
Le mamme “scrollanti” che trascorrono l’oretta a scorrere il dito sullo smartphone, mettendo like ad ogni foto di gatti e porcellini d’india sparsi per il web o mettendo nel carrello virtuale (solo per il gusto di farlo) ogni paio di scarpe must-have del momento nei siti di shopping online.
Ecco i tuffi
È il momento dei tuffi. E’ il momento che preannuncia il termine dell’allenamento. E’ il momento che preannuncia l’ingresso nello spogliatoio per la doccia. E’ il vero momento “Hunger Games” dalle temperature infernali.
Il Genitore Tipo dispiega l’accappatoio aperto in stile matador per acciuffare il figlio infreddolito e lanciarlo nell’arena delle docce prima di chiunque altro.
Il Genitore Tipo non guarda in faccia a nessun altro adulto, neanche alla nonna “idolo delle mamme”; ogni forma di cortesia è bandita; ogni spazio della panca occupato abusivamente da un borsone che non gli appartiene, viene vissuto come un affronto degno dei duelli medievali. Le uniche parole pronunciate sono rivolte al figlio, in versione ameba post-allenamento, e devono essere breve e concise (Forza!, Dai!, Muoviti!) perché il genitore non deve sprecare fiato in più, altrimenti rischierebbe di esalare l’ultimo sospiro. Le imprecazioni, poi, sono dietro l’angolo quando la pelle umida del figlio, in un ambiente altrettanto umido, si trasforma in una ventosa sudata su cui si attaccano i pantaloni che- siano maledetti!-, non salgono su, oltre le ginocchia.
Il terzo inutile phon prennauncia la fine dell’agonia. I capelli non saranno mai asciutti, mai! Ma il Genitore Tipo ha la pressione a zero, non sente più le gambe, ha ceduto alla pinza anni 90 per legare i capelli, sente il coro degli angeli, bisogna andar via da quel posto infernale. Copre il figlio come se stesse scappando da un appartamento in fiamme e si dirige di corsa verso l’uscita. Chiude alle sue spalle la porta dello spogliatoio, si tasta per avere conferma di essere ancora vivo, si guarda intorno accennando un sorriso incredulo, stringe le mani ai colleghi genitori sopravvissuti e guarda con compassione a coloro che devono ancora entrare.
È ora di tornare a casa, hai superato gli “Hunger Games”, poco importa che sfreccerai felice in macchina verso il tuo porto sicuro dalle temperature umane con calzari dal colore improponibile ai piedi.
Anche questa volta sei vivo, questo importa!