Certi uomini sono abituati a pensare alle donne come esseri che Dio gli ha messo accanto per proteggerle. A certe donne questa visione di sé fa comodo. Certi uomini pensano invece di vivere ancora in una realtà retrograda, in cui gli è concesso di esercitare il potere datogli da una presunta assoluta virilità: per certe donne questo è oggetto di indignazione. Forse per la festa delle Donne si dicono tante, troppe banalità, le mie comprese. In questo giorno in cui si celebrano le donne, vorrei volgere lo sguardo alla fragilità e alla sensibilità, altrettanto complessa, dell’uomo. Oggi vi parlerò dei maschi che, in quanto esseri umani, nascondono pensieri profondi, paure e lo farò parlandovi di un’analisi – non mia – che parte dal mettere a nudo, letteralmente, la parte più intima dell’uomo: il pene.
Mascolinità: la nuda realtà dietro a uno slip
È l’artista Laura Dodsworth, fotografa e scrittrice Inglese, l’autrice che ha esplorato le paure degli uomini partendo dall’elemento letteralmente più intimo di un uomo, quell’anima tangibile che si nasconde dietro gli slip. Dopo un lavoro nel quale ha ritratto, coi suoi scatti fotografici, svariati seni femminili che si mostrano senza veli, liberi dal dominio di Photoshop o siliconi, nel loro essere sia naturalmente turgidi o al contrario imperfetti, prolassati, o sino tatuati, oggi Laura ha invece dedicato un altro libro fotografico all’intimità e fragilità maschile, intitolato “Manhood: the bare Reality”(Mascolinità: la nuda realtà).
Quell’intimità che siamo abituati a ricercare e a scorgere dietro gli occhi di una persona, nei toni mutevoli delle sue gote o in quel tremolio talvolta quasi impercettibile delle mani, che si alterna all’insicurezza della voce, Laura Dodsworth la ritrova dove non sembra avere scampo. L’anima scende nell’intimità fisica per farsi portavoce dell’interiorità, della paura, delle ansie degli uomini, che non riguardano banalmente solo le misure del proprio membro. Tutto va ben oltre. Il pudore scompare per diventare nuda autenticità, ed è qui che l’intimità prende vita e riceve il dono della voce.
Transgender, disabili, uomini che hanno sofferto il cancro alla prostata
Non siamo sicuramente nel mondo dell’arte classica greca. La bellezza che ritrae Laura nei suoi scatti non è estetica, è arte di valore umano. I “membri” del libro non sono statuari, non sono anatomicamente perfetti: sono reali, come reali sono le emozioni degli uomini che si sono raccontati, scatto dopo scatto, lasciando intravedere uno squarcio interiore di sé. L’artista, infatti, ha reso protagonisti 100 peni diversi, di uomini dai 20 ai 92 anni che, nel loro essere semplicemente veri, si presentano con differenti misure, colori, con l’aggiunta di piercing, dritti o storti. Senza vergogna, senza alcuna ambizione alla virilità, ci sono organi sessuali che ci fanno conoscere uomini di ogni anima e corpo che condividono le proprie riflessioni sul loro corpo, sulla sessualità, sulle relazioni, sulla paternità – che comporta emozioni e paure al pari della maternità – sul lavoro e sulla salute. Ci sono anche gay, transgender (che hanno dunque subito un trapianto), disabili e c’è anche chi è sopravvissuto a un tumore alla prostata: queste sono le loro anime, queste sono le loro sofferenze. Non siamo davanti a un calendario hot, ma ad un racconto celato, sotterraneo che sviluppa dal basso verso l’interiorità. Pensiamo a un uomo che ha vissuto l’incubo del cancro e convive con l’ansia di una recidiva, o volgiamo lo sguardo a un ragazzo disabile, disorientato e visto, come spesso accade a noi donne, una categoria umana da proteggere nel modo più ridicolo, facendo ruotare la lancetta della debolezza e dell’ipocrisia. Questo libro dissolve i miti legati all’immagine corporea e in particolar modo all’organo sessuale maschile per andare in profondità.
I “volti” degli uomini in cui riconoscersi: dalle molestie alla tentazione del suicidio
Un uomo di 58 anni – condividendo con voi alcuni estratti del libro – racconta dei traumi legati alla sua gioventù: “Sono stato molestato due volte sui treni quando avevo 11 anni. La prima volta stavo tornando a casa da scuola. È stato un viaggio di 45 minuti. Ero seduto in un angolo e un ragazzo è entrato nello stesso scompartimento. Indossavo i pantaloncini e avevo accidentalmente lasciato la cerniera aperta. Si è avvicinato a me per toccarmi , l’ho spinto via. Continuò a parlarmi e mi chiese di andare a casa con lui […]. Disse che aveva un pianoforte a casa sua. Fortunatamente, anche se non ho detto niente quando sono tornato a casa, mia madre era abbastanza sensibile da accorgersi che c’era qualcosa […]” – per poi proseguire con un racconto molto più forte, riguardante una molestia compiuta, che non sto qui a riportarvi – .
Un altro ancora, un quarantenne, racconta di essere stato sul punto di suicidarsi in un periodo in cui era avvolto dalla sindrome dello stress post traumatico e di non essere ancora in grado di giudicare male chi sceglie di togliersi la vita, di non sapere cos’è giusto, perché la trappola del suicidio non è ancora così lontana da sé. E, per non farceli mancare, c’è chi parla della propria ossessione sulla ridotta misura del proprio membro e su come questo compromette la serenità nel relazionarsi con le donne.
Siamo abituati ad associare la mascolinità all’essere “forte” e silenzioso, ma anche gli uomini sono delicati e hanno fiumi di pensieri e paranoie dentro di sé. Anche i maschi piangono. Non c’è genere, c’è solo essere umano. Questo è la traduzione che io, come molte altre donne, do dell’opera di Laura Dodsworth. L’uomo è mostrato nudo non per attrarre ma per far comprendere. Un buon inizio, per capirne di più su tante cose.