Useremo un nome di fantasia per raccontarvi una storia vera, che fotografa alcuni aspetti del panico da coronavirus: il delirio, la caccia all’untore, l’abuso di quei mezzi velocissimi ed estremi che possono essere i social.
Carlo è un ragazzo di 21 anni di Calamonaci. Il sei marzo scorso è risultato positivo al Coronavirus. Nel suo paesino, milleduecento anime, in provincia di Agrigento, è il panico. Si iniziano a ricostruire i contatti che ha avuto Carlo: chi ha visto anche solo per un saluto o un caffè al bar? Parenti, amici, semplici conoscenti? Occorre capire, risalire, “mappare”. Perché il Coronavirus fa paura, il Coronavirus oggi è la paura. Viene fuori un numero: ventisette persone, quelle con cui Carlo ha avuto contatti. Tutti in isolamento preventivo. Intanto Carlo è a Pisa. I giornali locali parlano di questo giovane di Calamonaci, dei 27 in quarantena, di una comunità che ha paura. Le notizie si rincorrono confuse: è uno studente sceso in vacanza per Carnevale? No è un lavoratore trapiantato in Toscana. Gira anche una catena su whatsapp: il suo nome e cognome e l’allerta a diffondere il più possibile, perché questo giovane ha il Coronavirus.
Carlo, ci racconti meglio cosa è successo?
Nell’ultimo mese e mezzo ho dovuto fare una serie di spostamenti, ma mai nella zona rossa. Sono stato a Pisa per ragioni sanitarie. Un mio familiare è ricoverato con problemi seri nella città toscana e io ho donato delle cellule staminali. Era fine gennaio. Da allora sono tornato in Sicilia per andare a Palermo, dove studio all’università e quindi al mio paese. Lí mi sono fermato dal 21 febbraio al 3 marzo, la tappa precedente era stata appunto il capoluogo. Il quattro riparto per Pisa, il giorno dopo devo fare gli esami per la seconda donazione di staminali. Stavo benissimo, nessun sintomo. In ospedale come prima cosa mi misurano la temperatura: non ho alcuna linea di febbre. Mi sottopongono, come per prassi in questo momento, al tampone rinofaringeo. Il giorno dopo l’esito: sono positivo al Coronavirus.
Come ha reagito alla notizia?
Ero stupito. Non capivo. Non sapevo neppure che esistessero dei casi, come il mio, del tutto asintomatici. Come prima cosa ho avvisato il sindaco del mio paese, Calamonaci. L’ospedale ha provveduto invece ad avvisare chi di competenza qui a Pisa. Sono stato messo, con ordinanza sindacale, in quarantena. Sto bene, devo stare a casa e monitorare il mio stato di salute. Se subentrassero febbre, tosse secca o difficoltà respiratorie dovrei chiamare il 118. Per nessuna ragione devo uscire di casa, poiché potrei rischiare di diventare un vettore di contagio. Contestualmente è in quarantena anche mia mamma, che però è risultata negativa al tampone e alcuni amici, che ho visto qua a Pisa. Tra circa quindici giorni dovrò ripetere il tampone. Se negativo, vuol dire che sono guarito e che questa disavventura sarà finita qua.
Lei denuncia la sua positività e nel frattempo cosa succede a Calamonaci?
Si è sviluppato un battage assurdo. A parte i giornali, che fanno il loro mestiere, per carità, ma in alcuni casi hanno dato delle notizie imprecise. I social sono diventai un mezzo feroce contro di me. Una sorta di caccia alle streghe. Nel giro di niente è partita una catena via whatsapp. È iniziato a circolare un messaggio che metteva in guardia i miei concittadini. Si chiedeva di fare attenzione, quindi c’era il mio nome e l’avviso che ero positivo al Coronavirus. La cosa più dolorosa: nel messaggio si faceva cenno esplicito al mio familiare ricoverato a Pisa ed alla sua malattia. Il dettaglio per me più doloroso. Nel giro di niente tutta la mia comunità aveva ricevuto il messaggino e degli amici me lo hanno inoltrato. Non è finita. L’odio è proseguito su altri social. Mi hanno detto di tutto, minacciato, accusato, additato come untore. Io leggevo basito e incredulo. Quale la mia colpa?
Ha idea di dove può essere stato contagiato?
Assolutamente no. Non sono stato nelle regioni a rischio, non ho fatto viaggi in Cina o nei paesi ad alto contagio. Posso solo dirle che negli aeroporti di Pisa e Palermo non sono stato sottoposto ad alcun controllo.
Cosa le sta insegnando questa storia?
Che l’odio social fa paura. Questa comunicazione facile, immediata, mordi e fuggi può diventare pericolosa. Ha lanciato nel panico un’intera comunità, anzi una provincia intera. Mi hanno fatto diventare un untore mostruoso. Finora i miei 27 concittadini in quarantena non hanno sintomi. Spero che siano tutti negativi. Eppure si è detto di tutto. È serpeggiato che si trattasse di 27 contagi accertati. Si deve usare meglio il web ed anche alcuni giornalisti devono essere più cauti.
Cosa vuole dire a chi ci sta leggendo?
Che ci vuole cautela. Siamo di fronte a un virus nuovo che, come nel mio caso, contagia e può non provocare sintomi. Se non avessi fatto quel tampone a Pisa non mi sarei accorto di nulla, avrei possibilmente contagiato altre persone. Quindi ascoltiamo le direttive alla lettera: stiamo a casa, limitiamo i rapporti sociali e atteniamoci alle distanze debite. Laviamoci spesso le mani e portiamo pazienza. Questo virus su certi soggetti può avere risvolti gravi, anche letali. Il mio caso credo dica tanto su questa malattia: vuoi sulle sue dinamiche di trasmissione, vuoi sui rimbalzi nella coscienza comune. Non accaniamoci sui social, non puntiamo il dito e non cerchiamo il colpevole. Non viviamo solo di Coronavirus social. Piuttosto collaboriamo a lottarlo e a sconfiggerlo.
Grazie e auguri.
Una risposta
Grande e il mio strettissimo amico come sempre ci siamo mal aubituati che invece di essere solidali ci avvaliamo e sci sfoghiamo alimentanti la cause e l’ odio ,credo che in Italia prima ancora del corona virus va sterminato il sentimento di odio che esiste , se questa nostra comunità deve vincere la battaglia ci dobbiamo rendere conto che il problema lo dobiamo risolvere tutti insieme , ora con la solidarietà, non cercando di scansare a tutti i costi il problema,tanto lui prima o poi ti arriva lo stesso,