Francesca, Gianni e la piccola Aurora. Una famiglia felice. Sono siciliani ma per ragioni di lavoro vivono in Calabria. Gente perbene, che crede nei valori antichi, in cima ai quali spicca proprio il senso della famiglia. Sono entusiasti quando sanno che arriverà “la compagnia” per la loro piccola. Sarà un maschietto e si chiamerà Pietro. Alla notizia della gravidanza decidono di tornare in Sicilia, a Giardinello in provincia di Palermo, così da poter contare sull’aiuto dei nonni e sulla vicinanza di parenti ed amici. È il dicembre del 2016 quando a Palermo, all’ospedale Cervello, Francesca Caruso dà alla luce il suo piccolo. La gioia iniziale si trasforma però prima in timore, quindi in dubbio e poi in una certezza difficilissima da mandare giù. Pietro ha una sindrome genetica rara, che gli condizionerà la vita per sempre. Abbiamo intervistato mamma Francesca, una giovane donna gentile, che da tre anni e mezzo affronta la prova che nessuna madre vorrebbe. Mamma Francesca ha forza da vendere, ed insieme a questa anche quella speranza genuina che è delle persone buone, che quando la vita le mette alla prova non si accaniscono contro di essa, anzi, gli remano a favore, sfruttando tutte le armi pacifiche che hanno a disposizione. Francesca Caruso ci racconta della sindrome de Cri du chat e di come è cambiata la vita di tutta la famiglia da quando questa sindrome ha fatto capolino. Lo fa con garbo, con il cuore in mano. Si commuove e ci commuove. Poi però continua più forte di prima e ci insegna che grande può essere la forza di una madre.
Come avete scoperto che il vostro Pietro aveva una malattia tanto rara e complessa?
L’abbiamo scoperto praticamente subito dopo la nascita di Pietro, tre anni e mezzo fa. Avevo avuto una gravidanza serena, tutti gli esami erano andati bene quindi eravamo ignari di quanto stava per capitarci. Quando è nato Pietro però i medici dal pianto si sono accorti che qualcosa non andava e sono partite le indagini genetiche. A quindici giorni dalla nascita, grazie all’ottimo lavoro di una genetista, la dottoressa Piccione, abbiamo saputo della sindrome. Quindici giorni sono un tempo di diagnosi davvero tempestivo, ci riteniamo fortunati per questo.
Come vi hanno comunicato della sindrome?
Era il due gennaio, in pieno clima di feste natalizie. Noi avevamo già intuito che qualcosa non andava per il verso giusto. Pietro alla nascita non aveva avuto un adeguamento ottimale alla vita extrauterina ed era stato ricoverato in Utin per un paio di settimane. Attorno a lui si era mobilitata una squadra di medici che indagava e indagava ancora. Ovviamente speravo fosse qualcosa di passaggero ma la notizia ci ha solo confermato che la vita ci aveva riservato una prova durissima, che si chiama Cri du chat. Appena ho sentito pronunciare il nome della sindrome ho pensato con amara ironia che aveva un ‘chè di chic. Poi mi si è chiusa la gola, non riuscivo più a parlare. Quindi per diversi giorni mi sono totalmente avvolta in me stessa. Ero un’isola. Mi ero convinta che non avrei mai saputo aiutare mio figlio.
E invece?
Non è stato così. Vuoi perché una mamma, se vuole, trova sempre la chiave per aiutare i propri figli. Vuoi perché mio marito, che è la mia colonna, si è messo subito in contatto con l’associazione Abc, vuoi perché ho la fortuna di avere alle spalle una famiglia solida e molto collaborativa.
Come è uscita dal guscio?
È stato fondamentale parlare con la signora Maura Masini, la mamma che, a fine anni ‘90, con coraggio e determinazione, ha fondato l’associazione Abc così da creare un ponte con gli altri genitori di bimbi affetti dalla sindrome. Nelle settimane in cui non parlavo con nessuno avevo letto sul web notizie drammatiche: morte nel primo anno di vita, al massimo un futuro da vegetali. Uno scenario tragico, il peggiore che una madre possa immaginare. Parlando con Maura invece mi sono caricata di coraggio e determinazione. Lei ci ha raccontato la sua esperienza insieme al figlio Timmy e, con schiettezza e senza illusioni, ci ha fatto il dono più grande: la speranza, la stessa che ci guida ogni giorno.
Da allora cosa è successo?
Abbiamo comunicato della sindrome ai nostri familiari. Abbiamo detto loro che Pietro aveva un ritardo neuromotorio che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, che occorreva dargli tanto amore e vivere questa nuova realtà con volontà e speranza. Da allora è partita una meravigliosa macchina familiare di sostegno fisico e morale. C’era bisogno di tanto aiuto perché il bimbo rigurgitava di continuo, non dormiva praticamente mai. I primi tempi sono stati durissimi, ma ce l’abbiamo fatta. Il nostro bimbo non cammina ancora, fa delle terapie in un centro di riabilitazione ma nella sfortuna siamo stati fortunati perché l’associazione Abc ha un comitato scientificato che indica delle terapie mirate e segue costantemente noi familiari.
Quale la vostra routine?
La mattina, in tempi normali, Pietro frequenta l’asilo, quindi fa la terapia in un centro riabilitativo, poi il pranzo sempre a casa, perché ancora non mastica bene, il riposino e al pomeriggio iniziamo le terapie prescritte dagli esperti dell’associazione volte a coadiuvare lo sviluppo neuro/psicomotorio. Sono terapie apparentemente spaventose tanto sembrano “ardite” ma servono e vanno fatte con assoluta costanza.
Quanto è importante essere parte di un gruppo?
Tantissimo. Direi che è fondamentale. Noi abbiamo fatto rete sia con il gruppo nazionale che con il sottogruppo siciliano. In tutta Italia i bimbi con questa sindrome sono circa 300 di cui più di 200 interni ad Abc. In Sicilia sono in sette. Grazie all’associazione abbiamo modo anzitutto di non sentirci soli, condizione fondamentale per vivere al meglio la realtà della Cri du chat. Partecipiamo ai raduni nazionali, che sono momento di confronto, svago, ma anche l’occasione per sottoporre i bimbi a delle visite mirate. Per via dell’emergenza Covid il raduno di marzo è saltato, ma abbiamo intenzione di vederci tra luglio e agosto. Al di là degli incontri reali, noi genitori siamo connessi virtualmente da un utilissimo gruppo whatsapp che è un conforto grande, soprattutto quando capitano i normali momenti di abbattimento. L’associazione è un modo per collegare i bimbi e le famiglie. Le occasioni di sensibilizzazione servono per portare a conoscenza chi non lo sapesse, che esistono realtà come Abc tali da diventare una spalla robusta per chi vive la difficile realtà della Cri du chat.
Che bimbo è Pietro?
È un bimbo bello, allegro ed ha il dono di sapere dare tanto amore. Pietro è un bambino felice e questo mi rincuora ed ha fatto sí che quel nodo che mi stringeva la gola, si stia sciogliendo quasi del tutto. Mi creda, tre anni fa non avrei potuto fare questa intervista, oggi è diverso. La felicità con cui Pietro si affaccia alla vita mi dá forza e mi fa credere, fuor di retorica, che questa prova é una risorsa e che sono una mamma fortunata. I bambini Cri du chat hanno una capacità indescrivile di dare amore e se all’inizio pensi “perché proprio a me” strada facendo comprendi che si tratta di uno stravolgimento imprevisto, impegnativo ma anche tanto costruttivo.
Da dove arriva la forza per affrontare un quotidiano difficile?
Arriva da Pietro perché quando penso ‘come faccio?’, soprattutto la sera, nel silenzio della casa che dorme, nello sconforto, incrocio i suoi occhi, magari ci scappa un sorriso, ed ecco che tutto torna. Mio marito ha una grandissima forza ed io mi sono aggrappata a lui. Poi c’è Aurora, l’altra nostra bimba. Diciamo che ho tanti buoni motivi per non mollare.
Francesca, cosa sogna?
Ingenuamente il miracolo, ma ovviamente tengo i piedi per terra. Il sogno reale è di esserci sempre per i miei figli e quando non ci sarò più è che loro siano felici. Pietro mi ha fatto capire le cose importanti della vita e di questo gli sarò grata sempre.
Grazie Francesca e ad maiora!