“Dimenticare è un esercizio doloroso. Bisogna essere molto disciplinati e a volte non basta”.
Di Luca Bianchini ho letto tutto e questa sua frase, installata in un suo romanzo che non è neppure il mio preferito, l’ho imparata a memoria. La riconosco e mi riconosco. “La cena di Natale”, è questo il libro della mia frase preferita, lo lessi in un pomeriggio di dicembre di un po’ di anni fa. Era una stagione in cui il Natale mi pareva un boccone amaro da dover mandar giù per forza e in un tempo quanto più veloce possibile.
Ogni romanzo di Bianchini è un fotogramma
Se ci penso, ogni libro di Bianchini è legato a un mio personale fotogramma.
“Io che amo solo te”, acquistato alla Mondadori di via Ruggero, è per me una vacanza a Ugento, in Salento. Vidi la copertina, i peperoncini, lessi veloce l’incipit, poi la prima e la seconda pagina. Mi sembrò una lettura “poco impegnativa” e lo acquistati. Mi ricorda le Maldive del Salento, la focaccia con i pomodorini, un lido carissimo e una giornata di cielo chiaro e senza punteggiatura. Mi ricorda anche la “gelosia” di mio marito. Perché, ve lo confesso, capita che mio marito sia geloso dei libri che leggo. Succede quando mi ci infilo dentro e non lascio passare niente in mezzo. Con i romanzi di Bianchini mi succede sempre.
Bianchini e il mio rituale
Ho un mio rituale, li acquisto da Feltrinelli a capo mattina il giorno stesso della loro uscita. Non mi importa se potrò divorare il romanzo in 24 ore o se dovrò rimandare la lettura di un mese e poco più. Io devo essere puntuale. Li aspetto come aspetti un vecchio amico all’aeroporto e arrivi in anticipo perché non vuoi perderti l’euforia di essere arrivato per primo.
“Dimmi che credi al destino” è la mia bellissima gonna bianca a fiori, retrò, delicata, tanto “femminile”. È un’estate serena e senza colpi di scena.
“Nessuno come noi” sono io neonamamma, che ne leggo le pagine ogni mattina dalle 5 alle 6, con la tazza di caffè sul comodino, il mio Raffaelino che mi dà una tregua e la mia enorme camicia da notte per allattamento stropicciata. Fu un conforto per me che alternavo il delirio di onnipotente felicità alla malinconia, che appartiene un po’ a tutte le neomamme.
“So che un giorno tornerai” non l’ho ancora finito. Sono sincera. Mi è mancata quella porzione di tempo esclusiva da dedicare del tutto a queste pagine, senza che passi nulla in mezzo.
Bianchini a Palermo
Qualche giorno fa Luca Bianchini lo ha presentato a Palermo, al Rouge et Noir, uno dei miei cinema preferiti. È antico, fumigante, concilia il ritrovarsi. Mi crucciava l’idea di dover portare con me Raffaelino. Avrebbe disturbato? Ma soprattutto: si sarebbe annoiato a morte? (Detesto fargli fare ciò che un bimbo di due anni non dovrebbe). In assenza di alternative l’ho coinvolto. Mi ha stupita: era attento, curioso, incollato alla verve di Bianchini che, non solo scrive bene, ma ha una capacità di intrattenimento, che dà merito al suo passato da speaker radiofonico. Raffi fino a poco fa mi chiedeva: “Mamma come ttà Bianchini?”
Perché mi piace Luca Bianchini?
Perché parla di cose “pesanti” con piglio leggero. Mi sbagliai quando, vedendo in copertina i peperoncini e leggendo qualche riga, pensai che si trattasse di un “romanzetto”. I suoi libri, lì per lì, potrebbero dare questa idea, poi li leggi e capisci che nelle pagine scorre vita reale, farcita di drammi, tradimenti, dolori cicatrizzati e ferite aperte. C’è tanta verità nei libri di Bianchini e lui ha il pregio di chiamarla con nome e cognome. Servita cruda e senza condimento (se è il caso). Poi però arriva il mare, un balcone sull’angolo più bello di Polignano o ancora un parco romantico di Londra, uno sguardo tra due “amanti” ormai innamorati e la luce si fa tenue, il clima dolce, le righe una carezza sul cuore. Bianchini sa scrivere e lo fa in una maniera che lo rende amabile vuoi per i palati “snob” vuoi per chi ama righe più morbide. I suoi romanzi sono simpatici, gioviali, hanno un sottofondo di malinconia e non risultano mai scadenti. Hanno un piglio acuto, che ti fa riflettere anche molto tempo dopo averli letti. L’ultimo è ambientato nella fascinosa Trieste, protagonista è Emma, che sarebbe dovuta chiamarsi Giorgio. Anche in questo caso una storia forte, fortissima, ma raccontata come racconteremmo un fatto importante a un caro amico, davanti a un buon caffè, in un clima disteso, che accompagna e non turba. È questo il mondo di Luca Bianchini: leggero ma non banale, scherzoso ma non pacchiano, ammiccante e alla portata di tanti (non di tutti però). In tempi in cui si legge poco, Bianchini invita ancora ad annusare la carta, a vivere un romanzo come un’evasione. Conoscerlo è uno spasso. Lui si dà ai suoi fans e si capisce che gli fa piacere. Racconta aneddoti, gli scappa la “parolaccia” e si prende tutta la scena, facendosi ascoltare dall’inizio alla fine. Autografi, foto, selfie e “Mi riconosci?” ed ancora “Io sono la mamma di Peppe, sì Peppe, te lo ricordi?”. E lui sorride, firma, fa selfie e nel frattempo ha già raccolto un paio di personaggi per il suo prossimo romanzo? Probabile?
Bravo Luca Bianchini e ad maiora!
Ps: Complimenti a Bianchini per la simpatia mostrata a Raffaele. Lo ha letteralmente interviatato e il mio dolcissimo pantufflino è stato al gioco.
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