Qualche tempo fa tv e giornali si sono interessati alla storia di Marco Della Noce, attore comico, ai più conosciuto per la sua partecipazione alla nota trasmissione comica “Zelig”. A fare notizia è stata la sua situazione economica, che lo ha costretto a vivere nella sua auto e a non poter lavorare a causa di una serie di disavventure generate dal suo conflittuale divorzio dalla moglie. Le decisioni scaturite dalla sentenza di divorzio hanno comportato per l’attore importanti impegni economici, per provvedere al mantenimento dei due figli, cui lo stesso non sarebbe riuscito a far fronte.
In Italia i padri separati sono circa 4 milioni
All’incirca 800 mila di loro, secondo un Rapporto Caritas, a dire il vero non più recentissimo, si trovano sulla soglia della povertà. Papà in giacca e cravatta in fila alla mensa dei poveri per assicurare il mantenimento dello stesso tenore di vita all’ex moglie e ai figli. Così finiscono per non avere i soldi per pagare un affitto e tornano a vivere dai genitori, o peggio, a farsi la doccia in ufficio e dormire in macchina.
Fare una stima dei costi della separazione è difficile, perché all’importo dell’assegno di mantenimento devono aggiungersi le spese straordinarie e quelle mediche e poi tutte le spese per il vitto ed il nuovo alloggio.
Non di rado le difficoltà economiche di un padre separato si riflettono sul rapporto con i figli, e se ai problemi economici si aggiunge un affidamento non condiviso, il rapporto ne esce notevolmente indebolito.
Erroneamente si pensa che lo stato di disoccupazione di un padre lo esoneri da qualsiasi obbligo economico.
In realtà anche chi è disoccupato deve mantenere i figli sino a quando questi non raggiungono l’indipendenza economica.
Ai sensi del codice civile, infatti, i genitori (nel corso dell’unione, sia matrimonio o convivenza more uxorio) sono obbligati a provvedere al mantenimento dei figli, in concorso tra loro e secondo le rispettive proprie capacità economiche.
La legge stabilisce che tale obbligo in capo ai genitori permane anche dopo la loro separazione/divorzio.
“Prima vengono i figli e dopo i genitori”.
Questo detto vale anche per la legge e spesso legittima le decisioni dei Giudici chiamati a stabilire l’ammontare dell’assegno mensile che il padre deve versare all’ex coniuge per le spese di gestione ordinaria della prole.
Inoltre i Tribunali adottano parametri differenti, ma in genere l’importo del mantenimento dipende dalle risorse economiche dei genitori. Queste si ricavano ricostruendo le complessive situazioni patrimoniali e reddituali delle parti, con riferimento anche alle concrete capacità lavorative e alla potenzialità di produrre reddito.
La presunzione da cui partono i Giudici è la seguente: chiunque, se davvero vuole, può e deve trovare un’occupazione, salvo prova contraria. Una occupazione anche umile, probabilmente diversa da quella precedentemente svolta, ma comunque utile alle necessità dei figli. Del resto, il fatto di essere disoccupati non significa necessariamente essere privi di redditi: si può non avere un lavoro ma vivere con una rendita derivante da un canone di locazione per un immobile di proprietà, o vivere grazie agli aiuti dei genitori o a un risparmio presente in conto corrente.
Per tale motivo, se il genitore tenuto al mantenimento dei figli, che sia disoccupato, non dimostra di essersi adoperato a trovare un’occupazione o che le proprie condizioni di salute glielo impediscono e, nello stesso tempo, di non aver altri redditi da cui attingere per aiutare i figli, rischia conseguenze sia in sede penale che civile. Lo scopo dell’ordinamento è quello di garantire ai figli la disponibilità tempestiva delle somme necessarie al loro mantenimento, evitando così che l’inadempimento possa arrecare un grave pregiudizio alle esigenze di vita del coniuge e soprattutto della prole.
In sede penale l’inadempimento costituisce reato previsto dall’art. 570 c.p., che sanziona chiunque “si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge” con la pena della reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 fino a 1.032, stabilendo l’applicabilità congiunta di dette pene a chi “fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa”.
Anche quando non costituisce reato, il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento, rileva quale illecito civile, permettendo al coniuge più debole ed anche ai figli, alcune tutele specifiche previste dall’art. 156 c.c.:
– Ordine di pagamento diretto da parte di terzi tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro all’obbligato(come, ad esempio, il datore di lavoro o l’Inps)
– Sequestro di parte dei beni dell’obbligato
– Ritiro del passaporto al coniuge obbligato al mantenimento
Inoltre le condanne al pagamento di somme relative agli obblighi di mantenimento, benché stabilite in via provvisoria, sono immediatamente esecutive e in base ad essi gli aventi diritto possono agire per la riscossione delle somme spettanti, potendo altresì aggredire, in caso di inadempienza, anche i beni dell’obbligato con il pignoramento (mobiliare o immobiliare) per le somme man mano maturate.
Al netto di qualsiasi considerazione puramente giuridica non possiamo non riflettere sull’isolamento e la solitudine con cui molti uomini affrontano il dramma della c.d. paternità violata. In Italia esistono diverse associazioni a difesa dei padri separati, e ciò la dice lunga sull’assenza di un aiuto che dovrebbe invece provenire dalle Istituzioni. Il nostro paese è stato anche condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per non avere predisposto un sistema giuridico (e amministrativo) adeguato a tutelare il diritto inviolabile del genitore (nella specie e quasi sempre il padre “separato”) di esercitare il naturale rapporto familiare col figlio.