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Il nostro bimbo, la sindrome Cri du chat e l’importanza di aprirsi al mondo

La testimonianza di Linda e Carmelo Sciarrabone, genitori del piccolo Giuseppe, affetto da una sindrome genetica rara

Giuseppe ha quasi tre anni, è un bimbo vispo, sorridente con gli occhi curiosi e una capacità senza limiti di catalizzare amore.

Lo confermano mamma Linda e papà Carmelo. “Giuseppe si fa amare da chiunque lo incontri. Avete presente una calamita, lui è così. Con chiunque lo incontri.”

Giuseppe, un bimbo desiderato e con intorno un grande cordone di amore, quello dei genitori, dei nonni, degli zii, dei tanti amici della famiglia Sciarrabone, che a Casteltermini, paese dell’entroterra agrigentino, è molto conosciuta e stimata.

Giuseppe ha 13 mesi quando arriva la diagnosi: una sindrome genetica rara, la Cri du chat, sindrome del pianto del gatto, che causa gravi ritardi neuromotori (ne abbiamo parlato approfonditamente con un’esperta in questo articolo https://www.atuttamamma.net/la-sindrome-del-cri-du-chat-quando-il-pianto-somiglia-al-miagolio-dei-gatti/)

un nome che offre a Linda e Carmelo le risposte cercate in un lunghissimo anno di indagini.

Linda, raccontaci della scoperta della Cri du chat?

Giuseppe aveva 13 mesi,  nessuno si aspettava questo esito, neppure la genetista, sebbene la prima intuizione che qualcosa non andava, l’abbia avuta il nostro pediatra, che quando il nostro bimbo aveva solo tre mesi, ci indirizzò verso l’esame del Dna. Vennero fatti accertamenti più approfonditi e quindi la conferma che Giuseppe era affetto da Cri du chat. Fu una doccia fredda. Quando ho ricevuto la notizia mio marito non era con me, perché al tempo insegnava al nord Italia. Vi lascio immaginare. Peraltro mi ero già documentata, avevo già letto qualcosa su questa sindrome rara e immaginavo cosa ci aspettasse. I primi giorni furono durissimi, poi con la forza dell’amore e la buona volontà, ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo capito che la nostra vita andava riprogrammata sulla scorta di questa nuova compagna di viaggio.

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Ci sono stati dei campanelli di allarme in gravidanza e dopo il parto?

Fino al quinto mese di gravidanza tutto procedeva perfettamente. Poi il ginecologo iniziò a verificare un ritardo nella crescita e un aumento del liquido amniotico. Non diede troppo peso alla cosa e ci rasserenerò. A trentasei settimane ho la rottura delle acque. Sono terrorizzata: è appena iniziato il nono mese e il mio piccolo ha dei parametri di crescita inferiori rispetto alla norma. Ho un lungo travaglio, che culmina in un cesareo d’urgenza. Nasce Giuseppe, uno scricchiolo di 1 kg e mezzo. Ha un pianto flebile. Me lo fanno vedere qualche minuto, poi via in utin. Sono terrorizzata, ma le mie ansie sono placate dal fatto che il mio piccolo era in camera con me già il giorno dopo la nascita. É minuscolo, ha questo pianto flebile, la questione però viene liquidata con la spiegazione che si tratta di un bimbo prematuro. Passano i primi mesi però e ci rendiamo conto che il suo sviluppo non è in linea con la sua età. Inizia il percorso di fisioterapia e stimolazione neuromotoria, gli screening e la nostra voglia di andare fino in fondo. Una mamma lo sa, lo sente, quando c’è qualcosa che non va e purtroppo non mi sbagliavo.

Da quel momento cosa succede?

Anzitutto comprendiamo che non c’è tempo da perdere. Qualsiasi forma di handicap colpisca un bambino non va affrontata passivamente, anzi, si deve fare tutto affinché siano potenziate al massimo le capacità del piccino. Così abbiamo fatto. Abbiamo delineato un percorso riabilitativo e fisioterapico. La costanza di questi trattamenti è fondamentale per far acquisire ai bimbi una maggiore autonomia. Il percorso è psicomotorio, così da aiutare lo sviluppo delle capacità psico-cognitive. É una strada lunga, sicuramente in salita, ma i sorrisi e l’amore di nostro figlio sono l’incentivo più grande.

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Il vostro amato Giuseppe, che bimbo è?

É un bimbo allegro, felice ed entusiasta del suo stare al mondo. É amorevole e tanto birichino. Ogni giornata passata con il mio nostro piccino, per quanto “infinita” ed impegnativa, è piena di emozioni e di gioia. É un vulcano e nonostante non cammini ancora, non sta mai un attimo fermo. La musica è la sua passione, ma non pensate alle classiche canzoncine per treenni, lui adora Ed Sheeran e quando lo ascolta sorride di gioia e quella gioia la contagia a quanti gli stanno a fianco. Giuseppe è un catalizzatore d’amore. Ama e si fa amare da quanti incontra sulla sua strada.

Come trascorrono le vostre giornate?

Da quando è nato Giuseppe e ovviamente con la scoperta della Cri du chat, io mi dedico interamente a lui. Ho lasciato il mio lavoro da commessa e faccio la mamma a tempo pieno. Un bimbo con Cri du chat necessita di un care giver h24.

Trascorriamo giornate molto piene: le terapia al centro riabilitativo, quindi quelle a casa, i vari controlli per verificare lo stato di salute e di crescita del nostro piccino. Ci sono giorni in cui mi sento davvero sfinita, considerate inoltre che Giuseppe dorme pochissimo la notte. Non nascondo che ci sono giorni in cui vorrei essere “solo” la mamma di Giuseppe, immaginare di trascorrere delle giornate normali, giocare con lui, andare a passeggio, senza terapie di mezzo. Quando però vedo i suoi progressi dico che tutto quello che stiamo facendo vale davvero la pena. Che ogni giornata spesa per Giuseppe vale la vita intera. Sembrerà strano, ma ringrazio Dio ogni giorno per avermi donato Giuseppe. Lui ha il merito di avermi resa una persona migliore.

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Quanto è importante collegarsi a un’associazione?

Lo è tantissimo. Anzitutto mi sento di dire e di consigliare che, di fronte a una diagnosi di disabilità, non ci si deve né chiudere, né isolarsi. Aprirsi agli altri e condividere la propria condizione è molto importante, per la famiglia e per i nostri piccini. Noi facciamo parte dell’associazione A.b.c che è un punto di riferimento, talvolta anche una ancora di salvezza. In questi anni ci ha permesso di metterci in contatto con gli specialisti del comitato, che sono sempre pronti a tenderci una mano, a chiarire i nostri dubbi e soprattutto a portare avanti la ricerca. L’associazione ci ha inoltre consentito di conoscere altre famiglie con le quali condividiamo dubbi, dolori, incertezze, ma anche tanta gioia. Siamo come una grande famiglia, dove al centro ci sono i nostri piccoli, il senso delle nostre vite. Il confronto quotidiano e i bellissimi rapporti di amicizia, che si sono creati, non solo ci aiutano a sentirci parte di un tutto, ma ci fanno anche sdrammatizzare. Non ci si può piangere addosso e capita quindi che con gli altri genitori partano le battute simpatiche sulla situazione che viviamo. Il sorriso è fondamentale, anche quando la vita ti chiama a prove così impegnative. Se metti l’amore al centro e la speranza che puoi aiutare tuo figlio a fare il meglio, ha un senso tutto, anche quello che pare non averne. Ogni figlio è un dono e il nostro Giuseppe è il dono più grande che la vita potesse farci.

Grazie Linda e ad maiora!

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