Un binario ferroviario parallelo e una coincidenza non rispettata. Potrebbe essere questa la metafora della storia nera di Alessia Pifferi e della piccola Diana.
C’é una madre senza la competenza emotiva per fare la mamma. Una donna che, a sua volta, é stata figlia in maniera “incompente”.
C’é una bimba che muore d’abbandono e di stenti in una delle estati più torride d’Italia. C’è il processo, la condanna all’ergastolo in primo grado e ci sono due figure anch’esse centrali, quelle della mamma e della sorella di Alessia, che in aula esultano dopo la pronuncia del giudice.
Come e più della gente comune. Più dell’esercito dei social che é pronto ai feroci “crocifiggilo”, al passaggio del mostro di turno.
Una storia nera, che percuote le coscienze pulite e anche quelle sporche.
Della vicenda, abbiamo parlato con il professore Daniele La Barbera, psichiatra e direttore dei Dipartimento di Psichiatria al Policlinico di Palermo.
Professore La Barbera, che madre é Alessia Chiffari?
Siamo di fronte a una donna con un importante disturbo della personalità. Che non sembra minimamente attrezzata per fare la madre. Non ha alcuna competenza emotiva ed affettiva di tipo materno, ma, non dimentichiamolo, é anche una donna essenzialmente e profondamente sola. Lo era durante la gravidanza, quando ha partorito, nel breve periodo di vita della figlia e lo é adesso.
Una tragedia della solitudine quella della piccola Diana?
In parte, non del tutto, é così. Ogni madre, anche la più centrata e consapevole, necessita di una rete di sostegno. Questo per una ragione volendo banale. Ogni madre ha la necessità di avere dei momenti oltre il proprio bambino. Questo per allentare il senso perenne di responsabilità e di controllo, che un neonato esercita. Nei contesti socialmente emancipati la rete di sostegno, se non é parentale, è garantita da quella amicale o dai servizi a pagamento, le baby sitter o gli asili nido. Nel caso della Pifferi parliamo di una condizione di povertà economica, sociale, ma anche familire. Pifferi non aveva un partner fisso, né amici o colleghi e soprattutto non aveva parenti a sostenerla.
Quindi la solitudine giustificherebbe una tragedia tale?
Alt, parliamo di una donna con evidenti disfunzionalità emotive e cognitive. Una madre ragionevole, seppure stanca, emotivamente provata, desiderosa di evasione, non antepone la vacanza con un possibile fidanzato al bene della figlia. In questa vicenda, la protezione della bambina é diventata secondaria e poco rilevante rispetto alla “fuga romantica” con un uomo.
Siamo di fronte a un fatto estremo di negligenza genitoriale, affettiva ed emotiva.
La Pifferi ha messo del tutto fuori gioco l’istinto primario, ossia quello materno. É una donna con chiari problematiche emotive, cognitive e relazioni. Ciò non significa che non sia stata capace di intendere e di volere. Ciò non la rende estranea alla tragica omissione commessa e a quanto da ciò é scaturito.
Una donna con gravi disfunzionalità cognitive, che non si era accorta di essere incinta, che ha partorito in bagno e che però, una volta dimessa dall’ospedale, dove era rimasta per diverso tempo con la bambina prematura, ha avuto affidata la figlia, come si farebbe con qualsiasi altra madre…
Questo ci fa riflettere su come le tragedie non si risolvano con l’individuazione e la condanna del “mostro”. Sono tragedie collettive, che dimostrano le falle del sistema sociale e sanitario nell’individuare e nel supportare il degrado. Pifferi era una donna “che nessuno voleva”, perché era ai margini sociali, quindi non aveva la solidarietà di un’amica o di una vicina di casa. Che questa mancata empatia e commiserazione siano accadute anche nel suo ambito familiare più stretto, rende la vicenda ancora più drammatica.
Si riferisce a quella nonna e a quella zia esultanti dopo la lettura del verdetto?
Sí, soprattutto a loro. Con quell’esultanza hanno posto in essere un meccanismo simile a quello della loro congiunta colpevole. Hanno smantellato le dinamiche primordiali di famiglia: la solidarietà e la misericordia verso un consanguineo. Come può una madre esultare perché la figlia é stata condannata all’ergastolo? Anche questo è un atteggiamento contro natura.
C’è questo cinismo a doppio binario da parte della nonna, che non ha pietas nei confronti di una figlia “disgraziata” e che ci fa riflettere sull’indifferenza e sull’insensibilità da parte di persone, che ti dovrebbero supportare sempre e comunque.
Questa tragedia quindi mette a fuoco anche un dramma sociale?
Sicuramente e questo si traduce in tanti aspetti. Anzitutto oggi é sempre necessario trovare il mostro, svergognarlo sui social e quindi sentirsi in pace con la propria coscienza. Facciamo questo perché così ci salviamo dalle altre nostre colpe inconsce.
Questa vicenda denuncia la deriva sentimentale che la nostra società ha imboccato. Stiamo perdendo punti di riferimento umani e morali, abbiamo difficoltà nel portare avanti progetti di lavoro, di vita e affettivi. É vero, vi sono ancora esempi straordinari di legami validi, ma in contraltare vi sono condizioni di degrado e di fragilità, che creano comportamenti estremi e parossistici.
Certa marginalità morale appartiene anche alle classi sociali elevate. Il cosiddetto neglect, la trascuratezza umana e sentimentale, viene segnalata in maniera più inquietante soprattutto nelle classi più alte.
Le famiglie abbienti non abbandonano i bambini con due biberon di latte, ma succede spesso che li lascino all’accudimento delle tate senza soluzione di continuità, così da sentirsi liberi dagli importanti vincoli genitoriali. Non é la regola, ma succede.
Come possiamo recuperare l’umanità perduta?
Attraverso una seria, approfondita, e anche difficile, riflessione individuale, collettiva, ma pure istituzionale, su quali sono e debbano essere i valori fondativi della relazione umana e della società nel suo insieme.
Sicuramente ridimensionandoci verso la vita reale e mollando quella fittizia e falsata dei social. Superando quell’individualismo, che é diventato la cifra dei nostri giorni e che in alcuni casi fa perdere di vista anche gli istinti primordiali, come quello della genitorialità. Il caso estremo della Pifferi ne é la dimostrazione.