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Il busto del Generale e quella foto fatta per caso

40 anni dalla morte del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Emanuela Setti Carraro, crocerossina e del poliziotto Domenico Russo

Quando Raffaele aveva appena un anno, gli scattai una foto accanto al busto del generale Dalla Chiesa. Era il 3 settembre, il giorno del ricordo, eppure quello scatto lo pensai solo per immortale una piccola tappa di mio figlio: il primo cono gelato mangiato “da solo”. Era un caso che dietro vi fosse il busto del Generale.

Oggi, quando l’algoritmo del mio telefono mi ha riproposto questo ricordo, ho riflettuto.

Ricordo con precisione quel giorno, c’era il cielo azzurro, aria di festa, in corso Vittorio Emanuele una mostra dedicata a Dalla Chiesa, la caserma dove viviamo era in grande spolvero e con noi c’erano i nonni, entusiasti per quel cono gelato, mangiato voracemente dal loro nipotino. Le piccole cose dei bambini, anche quelle irrilevanti, sono trofei per chi li ama.

Noi godevamo di una felicità piccina davanti a quel busto di bronzo, che apre le porte della Legione Carabinieri Sicilia.

Davanti a quella statua il mio bambino è passato non so quante volte. Dalla nascita a oggi. Con lui anche io. A volte distrattamente. Senza neppure guardare. Altre osservandolo e, con il passare del tempo anche ascoltando le domande di Raffaele.

”Mamma, chi è questo cabbiniere?”

Mi chiese una volta Raffi. Avrà avuto tre anni.

Gli risposi che si chiamava Carlo Alberto Dalla Chiesa, che era stato un grande uomo e un grande carabiniere.

Con il tempo le domande sono diventate più articolate e quindi è anche arrivato il momento in cui ho dovuto parlare di cattivi che uccidono i buoni e sussurrare anche la parola mafia.

L’ho fatto in punta di piedi, perché nel cuore di un bambino, a maggior ragione del figlio di un carabiniere, non puoi seminare il terrore o peggio la fobia che portare una divisa significhi morire ammazzato. Ai bimbi non si dicono bugie, semmai si racconta la verità “con la loro lingua”, come mi suggerí il caro prof. Iacono, il nostro pediatra del cuore (oltrechè di famiglia).

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Proprio perché i bambini non hanno sovrastrutture, abbiamo approfondito la cosa con semplicità e Raffaele ne ha voluto sapere di più.

”Cosa faceva questo carabiniere a Palermo? Lavorava con papà? Ma abitava in una casa vicina alla nostra.”

Ho portato avanti la fantasia ed ho immaginato la vita del Generale Dalla Chiesa, al tempo Colonnello, quando viveva in questo posto, che sentiamo casa nostra.

Ho raccontato a Raffaele che Dalla Chiesa non lavorava con papà, ma che papà è diventato carabinieri pochi mesi dopo la morte del Generale. Che sí, avrà avuto una casa simile alla nostra, forse vicina alla fontana con il putto, anzi sicuramente da quelle parti. Che avrà fatto delle passeggiate tra i giardini, soprattutto le sere d’estate, quando in casa fa tanto caldo.
“E al campetto, il Generale ci andava mai? E aveva dei bambini che giocavano in piazza, davanti la chiesa di san Giacomo?”

”Il Generale aveva tre figli, Rita, Nando e Simona. Quando vivevano qua erano ragazzini e di sicuro, come i ‘bimbi grandi’ che abitano qua adesso, andavano in bici, di sera magari facevano tardi a parlare sulle panchine o sotto i gazebi. Facevano le festicciole di compleanno o di inverno vedevano insieme i film in calotta. Avranno fatto le cose che qua fanno tutti. Perché erano persone come le altre.”

“Ma se era un carabiniere importante non poteva essere come gli altri!”

”E invece lo era! Tutti possiamo essere grandi se ci impegniamo!”

Mi piace pensare a Carlo Alberto Dalla Chiesa come uno di noi. Mi piace immaginarlo in questi luoghi siciliani, che per lui erano terra straniera, ma che ha scelto più volte nella vita perché evidentemente della sua vita erano una parte importante. Mi piace immaginarlo in giro per la Legione, che lui ha comandato e che ora gli è dedicata.

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Penso anche che tutti i bambini dovrebbero vedere il busto del Generale e chiedere chi sia quest’uomo, domandare della sua storia. Perché gli uomini grandi devono raccontarsi ai piccini da subito.

Era poi così semplice la definizione che dava Dalla Chiesa dei mafiosi. Non scomodava i paroloni e non citava il sangue. Diceva semplicemente: “Un mafioso è colui il quale vuole ottenere prestigio e lucra per poi goderne in ogni settore.”

Una frase che calza a pennello a tante, troppe persone. Poche parole di cui ricordarsi sempre.
Al Generale, nel giorno del ricordo, dico grazie. A lui, alla moglie Emanuela Setti Carraro, infermiera crocerossina e al poliziotto Domenico Russo.

 

 

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