Sono tanti i figli non amati. Ci sono quelli che non hanno mai potuto conoscere entrambi o uno dei genitori biologici. Quelli che hanno subito l’abbandono strada facendo, a causa di una separazione per esempio. Ci sono i figli di genitori violenti e ci sono anche i figli delle famiglie apparentemente perfette. Condizioni alle quali sembra non mancare nulla per essere definite felici, eppure capita che vi si installi all’interno lo sconforto di un bambino solo.
Dei figli non amati e degli adulti che diventano si legge in un approfondimento della rivista di psicologia Riza, diretta dallo psichiatra Raffaele Morelli.
“Il figlio non amato, da uno o da entrambi genitori, al netto delle condizioni limite di abbandono o di rifiuto, è un bimbo con una famiglia ‘normale’. Dove la normalità si poggia su basi economiche solide, una buona formazione sociale e culturale, un tessuto parentale apparentemente sano.
Il bimbo non amato cresce tra genitori distratti, che delegano l’accudimento ai nonni, alle tate, alle infinite giornate di scuola e attività pomeridiane. Questi genitori passano poco tempo con il loro piccolo per via del lavoro o di altri improrogabili impegni, che hanno sempre l’alibi dell’essere necessari. Il poco stare insieme causa una scarsità di ricordi, quando il piccolo diventa grande ed ha difficoltà a ripescare immagini di infanzia in compagnia dei suoi genitori.
Mamme e papà che non sanno amare un figlio per come merita, non è detto che lo trattino male, anzi, possono anche rimpinzarlo di premi e giochi, al punto da farne un bambino viziato e totalmente ripiegato su se stesso.”
Perché taluni genitori non amano i loro figli?
La prima risposta, come si legge su Riza, è dovuta al mancato desiderio di genitorialitá. Un figlio ‘capitato’ potrebbe diventare un bimbo non amato. Ma anche quando i figli sono cercati non è detto che ricevano le quote di amore e di attenzioni che meritano. Un figlio stravolge i piani della famiglia, cambiando la routine, il ritmo sonno veglia, l’equilibrio di coppia, la libertà individuale e familiare. Non tutti i genitori, una volta portato a casa il nuovo arrivato, si confermano felici della scelta di allargare la famiglia. Se un figlio é frutto di un desiderio poco progettuale, che non si proietta nel lunghissimo futuro dell’essere genitori, ma viene solo pensato nel qui ed ora, potrebbe diventare un figlio non amato. Un genitore (o entrambi) assai concentrati su loro stessi, con un ego nacisistico, difficilmente potranno fare bene. Un figlio è investimento di tempo, energie, sentimenti fortissimi. Non tutti i genitori sono all’altezza di questa sfida. Iniziano quindi a delegare a nonni o baby sitter, cercando il pretesto dell’assenza in giustificazioni più che valide. Non hanno voglia di stare con il loro bambino perché si sfiancano, fisicamente ed emotivamente; spesso trovano noioso il giocarci insieme. Del resto non tutti sono tagliati per essere genitori. Una volta però intrapresa la strada sarebbe sempre auspicabile dare a un figlio ciò che questi merita.
Come è un bimbo non amato?
Da piccolo, se le figure gregarie a quelle genitoriali sono state accudenti e molto presenti a livello sentimentale, potrebbe in apparenza non incassare il colpo dell’assenza dei genitori. Ci sono nonni e zii assai premurosi, che sanno dare ai nipoti amore, accoglienza e cura. I piccoli allora preferiscono stare con queste figure invece che con mamma e papà e sembrano non soffrire le continue assenze fisiche o emozionali dei genitori. Quando si cresce il discorso cambia. I rigurgiti dell’infanzia si fanno vivi in maniera prepotente, sopratutto quando si diventa a propria volta genitori e nel proprio bambino si ritrova se stessi. L’adulto, che è stato un bimbo non amato, ha grandi falle emotive, che gli causano insicurezza nei rapporti con gli altri. Teme che di base nessuno gli voglia davvero bene (amici, colleghi, partner) e si conforta nel ricordo di quel nonno o di quella zia, che tanto aveva fatto per lui da bambino. Ha molte insicurezze emotive, che possono essere debitamente celate, ma che vengono fuori in forma di sindromi ansiose, complessi persecutori, crisi di pianto, disturbi dell’alimentazione, autocommiserazione, rancore, attacchi di panico o depressione. La mancata connessione con i genitori é un trauma che si rischia di portarsi dietro a vita. Il sostegno di un terapeuta può sicuramente giovare in un percorso di lavoro su se stessi e di riconciliazione con il passato. Il figlio non amato vive la sua condizione come la peggiore delusione d’amore possibile ed è lì ad elemosinare anche una sola briciola di attenzione da parte dei genitori, che puntualmente sono incapaci di soddisfare le richieste sentimentali. Occorre spezzare la catena con ciò che è stato, elaborare un’assenza simile a un lutto, superare il rancore, nella consapevolezza che la colpa non è del bimbo non amato e per certi versi neppure del genitore. C’è un’incapacità di connessione tra l’emotività del genitore e quella di suo figlio. Un gap, che può essere recuperato anche in età adulta, grazie alla terapia familiare.
Il dolore acuisce a maggior ragione quando si diventa a propria volta genitori e si teme per il proprio piccolo il vuoto d’amore sperimentato. Ed è così che il genitore, che è stato un bimbo non amato, può diventare iper protettivo, desidera intercettare a tutti i costi i bisogni del suo piccino, vuole fare del suo meglio per essere un genitore perfetto, attuando strategie di iper controllo, che si rivelano poi fallimentari.
Come sono i genitori anaffettivi?
La maggior parte delle volte sono inconsapevoli delle loro responsabilità. Spesso credono di essere stati dei genitori quasi perfetti. Assenti perché impegnati a lavorare per portare acqua al mulino familiare. Questo uno dei pretesti più comunemente tirato in ballo. Quando il loro figlio, ormai adulto, li accusa, si scagionano, negano con convinzione e contrattaccano rinfacciando. Ed è nel sentimento del ricordare e rinfacciare quel po’ che si é dato, come se fosse un debito, che viene fuori l’anaffettivitá. Un genitore è una figura sentimentale che non può rinfacciare nulla ai figli, perché questi non hanno scelto di venire al mondo, ma sono stati frutto dell’altrui volontà. Il genitore anaffettivo tratterà il figlio da pari, litigherà con lui mettendosi al medesimo piano comunicativo, dimenticando il suo ruolo emotivo ed evocativo e ponendo in essere accuse, muso duro come si farebbe con un estraneo, peggio con un nemico. Il genitore anaffettivo, nello scontro, non riconosce la tenerezza genitoriale, cerca di avere la meglio, é capace di mentire e non fa suo il registro della misericordia accogliente, che dovrebbe essere proprio di qualsiasi madre o padre, nella certezza che un figlio resta tale e va accolto con calore, sia esso bambino, sia esso adulto.