Quando ero incinta e mi confrontavo con mamme di bimbi in età da “nido” e le sentivo ragionare sull’esigenza di iscrivere il proprio piccino, non nego che restavo un po’ stupita. Mi carezzavo la pancia ed ero convinta che per me sarebbe stato difficile mandarlo alla scuola dell’infanzia a tre anni compiuti, figurarsi al nido. Diventando mamma le prospettive però cambiano. Trascorsi i primi mesi, in cui mamma e bimbo di due ne fanno uno (con annesse difficoltà, scoramenti, tette perennemente a vista, camicia da notte a tutte le ore, pizze a pranzo ed a cena e notti in bianco) è partita la fase per me più complessa. Raffaele, intorno agli otto mesi, aveva imparato a sollevarsi in piedi. Una cosa banale, penseranno in molti. Non lo era affatto. Non potevo lasciarlo più nel box o nella culla un nano secondo, che rischiavo di trovarlo spiaccicato sul pavimento. In braccio? Neanche a parlarne. Voleva stare a terra ed arrampicarsi a mo’ scimmietta ovunque gli capitasse. Ed aveva ragione. Aveva finalmente capito come conquistare il mondo avendo a disposizione due gambe su cui reggersi.
Non vi faccio l’elenco dei cocci raccolti, dei lumi che hanno rischiato di cascargli sulla testa e dei souvenirs di viaggio finiti in frantumi. “È una fase, passerà.”
Un bimbo che scopre il mondo
Mi ripetevano taluni grilli parlanti. Nell’attesa io trascorrevo le giornate sul pavimento ad evitare che Raffi fosse un pericolo per sè e per quanto aveva intorno. Era così lesto che, credetemi, una volta cronometrai il tempo in cui rimaneva fermo nella stessa posizione e non superava i tre secondi di seguito. Ovvio che per me, che non avevo l’ombra di un aiuto, azioni quali andare in bagno, lavarmi, fare uno spuntino erano diventate piccole imprese quotidiane. Ricordo che, quando tornava mio marito in pausa pranzo, fuggivo a gambe levate alla toilette e facevo indigestione della poca solitudine che mi era concessa.
“Buon segno!”
Mi consoló il pediatra. “Un bimbo prematuro che precorre i tempi non può che farci felici.”
Armata di pazienza, trascorrevo le mattine ed i pomeriggi a giocare con Raffi. Io seduta sul pavimento e lui alle prese con le sue prime grandi imprese. Che detta così può sembrare la cosa più tenera del mondo, nella realtà era un’occorrenza leggermente diversa. Ero stanca, lo ero mentalmente. Essere mamma a tempo pieno era sí un’esprienza che mi consentiva di vivere tutte le tappe di mio figlio, di contro però volevo tornare al mio lavoro, alla scrittura, alle interviste, al rapporto con la gente. Volevo essere mamma ma anche Maristella. Nel frattempo Raffaele diventava un abile scalatore, muoveva i primi passi claudicanti, quindi più spediti, fino a cimentarsi in comiche corsette. Di parlare non voleva saperne. A parte biasciare la parola “papà” il resto era out. Strinsi i denti ancora qualche mese, finché le parole di un professionista che stimo e che aveva seguito Raffaele nel follow up prematurità mi illuminarono. Dopo un controllo chiosó: “Signora ho da farvi una prescrizione di gruppo: asilo nido.”
Lo scrisse proprio su un foglio intestato che ancora conservo.
L’avventura del nido
Mi fidai e fu così che Raffaele inizió la sua prima avventura al nido. Una prova giusto di un paio di mesi, in vista delle vacanze estive. Non era felice. Lo ammetto. Andava a denti stretti, mangiava poco e quindi decisi di fermarmi che era appena maggio. Non era pronto. Ogni bimbo ha i suoi tempi. La libera professione mi consentiva di stiracchiare ancora un po’ il congedo di maternità e in un secondo tempo, con l’aiuto di una baby sitter, di riprendere a piccoli passi la professione. A settembre scorso, Raffi aveva due anni, partiamo molto motivati. La marcia era quella giusta. Qualche difficoltà durante la prima settimana, ma poi eccolo lasciarmi la mano spedito e correre verso maestre e compagnetti. Passano appena un paio di mesi e Raffi inizia ad articolare le sue prime frasi. Da lí è un crescendo di “dialettica da vecchietto”, come la chiamo io. Un giorno mi stupisce. Ferma un gattino, che, scocciato, vuol stare per i fatti suoi: “Micino, micino, su vieni non fare l’asociale.”
Lo guardo basita.
”Aso che?”
”Mamma, asociale!”
Pensare che, fino a pochi mesi prima non sapeva neppure dire mamma.
Perchè sono grata all’asilo
Questa premessa per dire cosa? Che a noi, inteso come individui e come famiglia, l’asilo è servito, anzi non sarò mai grata abbastanza alle insegnanti e a tutto il team, che ha seguito Raffaele.
Vi dico perché
1) Raffi ha iniziato quasi subito a parlare speditamente
2) A mangiare da solo, a togliere e rimettere calze e scarpe
4) A dire grazie, prego, scusa, posso. A mettersi la mano davanti alla bocca ogniqualvolta tossisce o davanti al naso quando starnutisce.
5) A contare fino a 30 in italiano e fino a 10 in inglese. A ripetere tutto l’alfabeto e soprattutto ad amare le favole della buonanotte.
Questi cinque punti non sempre li apprendi in famiglia
Poi:
1) Ha imparato a condividere e a condividersi
2) A difendersi
3) A voler bene di cuore ad altre persone al di fuori della famiglia e ad avere un amichetto del cuore
4) Ad accettare avvicinamenti ed allontanamenti, iniziando a capire che così va la vita
6) Ad avere delle regole, che a volte non vanno discusse, neppure quando hai solo due anni.
7) Ha imparato l’entusiasmo di giocare in gruppo e anche la bellezza di farlo da solo
Io ho imparato che
Sei una buona mamma anche quando sai delegare
Una mamma non è mai solo una mamma
Che i figli li dai al mondo, in tutti i sensi
Che diventare mamme non deve mai significare perdere la propria comfort zone. Anzi, grazie al nido ho imparato ad essere più “comfort” anche verso mio figlio.
Questo articolo non ha consulenze mediche o di esperti di psicologia infantile. Racconta la mia esperienza personale. Descrive il mio aver messo in discussione una mia verità: mai al nido! Ogni bimbo e ogni mamma hanno i loro tempi e i loro modi di viversi. Ci saranno bimbi che entreranno al nido a tre mesi e saranno sereni, ce ne saranno altri che inizieranno la scolarizzazione quando lo prevede la norma e possibilmente anche loro saranno felici. Non esiste una regola universale. Esiste però la possibilità di stare bene: come figli, come mamme e come mammepiúfigli.
Buon inizio di anno scolastico a tutti i bimbi ed a tutti i genitori (ed ovviamente anche alle sante maestre)