Non amo i reality, non mi divertono e li trovo altamente patetici nel desiderio di mostrare le dinamiche relazionali di VIP decaduti e nuove starlette, di tronisti dalla corona di cartone e di corteggiatori circensi, di gente più o meno famosa spedita su un’isola “famosa”, le cui gesta diventano motivo di discussione degli “autorevoli” ospiti in studio o di travagliate querelles sui social.
Ma c’è un programma che ogni anno seguo con grande curiosità
una sorta di reality che poi non ha la durata più o meno infinita degli altri reality perché le avventure dei loro protagonisti vengono raccontate in pochi episodi: mi riferisco a “Matrimonio a prima vista” (Italia).
Per chi non lo conoscesse, vi spiego di cosa si tratta:
un team di tre professionisti della psiche umana, un sociologo dall’aria di scienziato pazzo, una sessuologa dagli outfits tanto impeccabili quanto gli esercizi che propone e uno psicologo dai tatuaggi invidiabili, dopo un’ accurata analisi dei caratteri e della storia dei concorrenti, forma, con grande convinzione, tre coppie che di lì a poco si conosceranno all’altare dove, senza essersi mai visti prima appunto, pronunceranno il “fatidico sì” nei confronti dello/a sconosciuto/a che da quel momento diventerà suo/a marito/moglie per 40 giorni, dopodiché le coppie decideranno se mantenere la promessa matrimoniale o divorziare all’istante. Vi lascio immaginare quale sia, di solito, la scelta finale.
Geniale!
Partendo dal presupposto che i concorrenti che liberamente vi partecipano hanno in comune una sola caratteristica, ovvero l’indole autolesionista, in 8 episodi assisti a dei veri e propri momenti esilaranti! A cominciare dal fatidico annuncio
“Tra una settimana esatta mi sposo con uno sconosciuto”
alle famiglie di origine le cui reazioni potrebbero veramente (quelle sì!) essere oggetto di studio sociologico: mentre le famiglie del Nord sembrano assecondare con curiosità la simpatica scelta del figlio di partecipare a questo esperimento, le famiglie del Sud reagiscono con la stipula di un atto notarile in cui diseredano il figlio snaturato perché non ha pensato alle bomboniere e, dati i tempi stretti, può invitare solo pochi intimi e non tutto l’albero genealogico.
Poi i due “malcapitati” si incontrano all’altare
e le loro facce meritano di essere immortalate: sguardi basiti di future mogli che erano convinte di incontrare all’altare Ryan Gosling si alternano a sguardi da vero e proprio “sospiro di sollievo” dei futuri mariti che temevano di dover sposare la figlia di Fantozzi. Inevitabile la sbronza al ricevimento per affrontare la prima notte di nozze tra sposi sconosciuti e, da quel momento, entra in gioco la sessuologa del mitico team di esperti che cerca di smuovere l’immobilità assoluta con consigli vintage. Infine, arriva il giorno fatidico in cui le coppie devono annunciare la loro scelta di restare o meno marito e moglie ai Mitici Tre, che rischiano la loro carriera professionale a causa della poca lungimiranza nell’unire sei persone che erano convinte di partecipare ad una versione moderna del “Gioco delle coppie” e, invece, si sono ritrovati a fare i conti con un “vero” matrimonio. Per quanto lo psicologo cerchi di mostrare i minacciosi bicipiti tatuati cercando di convincerli a stare insieme e a non mandare a monte tutto il “lavoro” fatto, i sei firmano il divorzio con la mano tremante e scappano a gambe levate!
D’altronde come non si può non considerare folle l’esperimento di “Matrimonio a prima vista”? Il matrimonio deve letteralmente sposare l’idea della costruzione e non della costrizione. Costruzione di una coppia che abbia un passato di vera conoscenza, un presente di ideali comuni e un futuro di volontà di perseguire insieme degli obiettivi, non in una simbiosi opprimente, ma in una condivisione rispettosa degli spazi dell’altro. Se il matrimonio fosse, invece, una costrizione, avrebbe ragione il mio amato Arthur Schnitzler quando, nei primi anni del 900 in cui si iniziava ad indagare per bene la psiche umana, scriveva “Il matrimonio è la scuola della solitudine. Ma in essa non s’impara abbastanza” (citazione tratta dall’opera teatrale “Commedia delle parole”).
L’arrivo di un figlio, poi, si sa, stravolge ogni equilibrio (anche con la famiglia d’origine), ogni spazio della casa, ogni parola detta senza riflettere, e solo una coppia consolidata riuscirà ad elaborare un nuovo equilibrio familiare. Parliamoci chiaramente, dopo infiniti e reiterate notti in bianco in cui, per stanchezza e nervosismo, volano le ciabatte, nessun sociologo o sessuologa o psicologo può aiutarti a “risolvere il problema” e a ricominciare la giornata con lo spirito giusto.
Promettere di condividere la propria vita insieme ad un’altra persona è una scelta importante e quotidiana e non una riproposizione finta della realtà in cui quotidianamente devi recitare un ruolo che non ti appartiene o indossare la maschera appropriata: lasciamo che sia un format televisivo a far vivere due solitudini sotto lo stesso tetto!
Post Scriptum: fenomenale il tempismo della messa in onda di un programma simile in primavera, stagione nota per le cerimonie. Fortunatamente, ci hanno pensato Harry e Meghan a risollevare il “genere” matrimoniale!!