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Gli Stadio cantano sul tetto, io sottovoce sul divano…

Un'iniziativa benefica per sostenere gli ospedali di Bologna, Catania e Siracusa

Ho visto metà concerto in diretta e metà in differita. Fosse stato qualche anno fa, mi sarei piazzata sul divano più comodo di casa e lo avrei gustato on air. Secondo dopo secondo. Ma oggi sono mamma di un birbantello di quattro anni e avevo altro da fare. Per strada, ascoltando “Ballando al buio”, mi è partito un vibrato del cuore. Avevo 18 anni e della vita non capivo una mazza, ma ovviamente ero convinta del contrario. Quella canzone sapeva d’amore, così per come se lo aspetta una ragazza romantica di appena diciotto anni. Con il ritornello che è un botta e risposta di rime baciate. Con quella melodia dolcissima, che si scioglie in bocca e si posa suol cuore, così come fanno le cose buone, le cose “di casa”.

“Senti l’amore, stringiti a me, ti  batte il cuore, dimmi perché…le paure che hai, i sogni incerti…”

Per un attimo mi sono rivista, io più di vent’anni fa: con gli occhi leggermente abbassati, che sorridevano poco, malgrado i buoni motivi per farlo, le guance che arrossivano spesso, la zavorra del sentirmi una farfalla dentro una corporatura che credevo da elefante e quella timidezza che mi dava un’aria vagamente snob.

Una volta a casa, mentre tutti dormivano, ho gustato il concerto. “Noi come voi”, gli Stadio che cantano sui tetti del Sant’Orsola di Bologna, una figata che ricorda le “ragazzate” dei Beatles e lo stesso Curreri a confermarlo e a immaginare che “dai, il prossimo concerto lo facciamo su Marte”. Dietro la skyline di quella città, che mi ha adottata per un interminabile anno della mia gioventù. Bella come mai l’avevo vista mentre vi vivevo dentro. Bologna, che ieri aveva il cielo rosa dell’inizio dell’estate, l’aria pacata del tempo buono, della calma dopo la tempesta. Che questo è stato il senso del concerto: ripartire dopo la bufera, ringraziare quanti,dentro quella tempesta, hanno tenuto il timone e condotto le navi in mare aperto.

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Curreri e gli altri hanno avuto un’idea davvero bella: cantare sul tetto del celebre ospedale bolognese, trasmettere il concerto in streaming e avviare una raccolta benefica, con fondi da destinare al Sant’Orsola, al Cannizzaro di Catania e all’Umberto di Siracusa. Scommetto che questo evento l’abbiano pensato con la pancia e con il cuore. Perché, seppure il mondo patinato spesso non sia sincero, gli Stadio hanno sempre avuto quell’appeal da “bravi ragazzi”, da gente di provincia, che fanno musica a stampatello e quando cantano dal vivo si danno del tutto, anche oggi che i venti, i trenta e pure i quarant’anni sono passati d’un pezzo e  più di una tempesta li ha lambiti. Ieri sera hanno regalato emozioni, che fioccavano come la neve. “Sorprendimi”, “Acqua e sapone” (con un arrangiamento da spaccacuore), “Generazioni di fenomeni”, “Chiedi chi erano i Beatles” (cantata in duetto con Biagio Antonacci, che aveva la forma smagliante dei suoi anni d’oro) e poi il gran finale con “Stabiliamo un contatto”. Su fb in diretta i commenti pieni di emozione, tante dichiarazioni d’amore a una band della buona musica italiana. Gli Stadio mancavano da un pezzo e ieri sera è tornato sulla ribalta anche Giovanni Pezzoli, lo storico batterista, dopo uno stop lungo, che forse continuerà. Un cameo, giusto il tempo di infiammare il cuore degli “stadiofili”, che virtualmente si sono scatenati su letti e divani, manco si fosse davvero tutti insieme a un concerto, di quelli belli, degli anni delle adunate.

Ed uno di quei concerti lo ricordo benissimo. Avevo poco più di vent’anni e gli Stadio vennero in Sicilia. Li avrei intervistati per TgS ed ero al settimo cielo, perché la loro musica era la mia da quando li avevo letteralmente adorati per la colonna sonora di “Acqua e Sapone”. Un film che è una piccola e imperfetta poesia. Li incontrai in un camerino del Palacongressi di Agrigento. Curreri era smagliante: un uomo bello, ma soprattutto gentile, empatico, con un’indimenticabile giacca di velluto colore notte, puntellata di stelle di minuscoli strass (quella mise, che sarebbe stata kitsch per chiunque, addosso a lui diventava miracolosamente elegante). Non ero più la farfalla dentro la corazza da elefante. Ero una ventenne in sboccio, innamorata della vita e del lavoro più bello del mondo. Intervistai Curreri con gli occhi e i gesti carichi di entusiasmo. Gli chiesi di cantare a cappella un pezzetto della mia preferita: “meravigliosa, stramaliziosa”. Lui mi accontentò e concluse con un complimento elegante, ma che mi fece arrossire dalla testa ai piedi. Quella intervista e quel concerto sono uno dei ricordi più belli del mio lavoro. Sembra ieri e sono invece vent’anni da allora. Da stadiofila, ieri ascoltandoli mi sono divertita ed emozionata. Sarà che ho quasi quarant’anni e gli anta ti rendono nostalgica degli enti e degli enta. Riavvolgi il nastro e ricordi di quando eri giovane e forte, eppure ti sentivi fragile come un foglio di cristallo. Ripensi a quel tempo in cui tutto sarebbe stato facile, se solo non lo avessi volutamente complicato. Ma sono i vent’anni, sciocchi e imperfetti, contro i quaranta, tempo in cui ci si inizia a sentire migliori. Ieri sera ho gustato del tutto sia il tempo di ieri che quello di oggi. Ho cantato sottovoce, perché nell’altra stanza il mio bambino dormiva. Lui che sta imparando le canzoni che amo, compresa  “Ballando al buio” e la “chiama” su Alexa quasi tutte le mattine ed aggiunge “dedicato alla mia mamma”.

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Ieri sono stata felice, perché la buona musica ti rende tale e gli Stadio sono bravi a fare musica, con quella voce imperfetta e inconfondibile di Curreri, con quell’appeal sincero, “da fatto in casa” che ha questa band, che tutto sommato pare sempre avere vent’anni.

Bravi e ad maiora!

Ps: la raccolta fondi per gli ospedali Sant’Orsola, Cannizzaro e Civico di Siracusa continua sulla pagina fb Stadio official.

 

 

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