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Giovani alla deriva nascosti tra eccessi e chat, come aiutarli?

Ne abbiamo parlato con il professore Daniele La Barbera, psichiatra

La mancanza della misura. Sembra questa la cifra generale che alimenta le giornate dei giovani di oggi. Non di tutti, per carità, ma sicuramente di una buonissima parte. Lo dimostrano i fatti, quelli che emergono da un sotterraneo sicuramente più fitto. Passano per “normali” le sevizie a una caprette durante un diciottesimo compleanno, lo spogliarsi per “Only fans” a soli diciotto anni, per arrivare alle estremità, lo stupro di gruppo e la violenza sessuale e psicologica abituale a due adolescenti calabresi, fino ai femminicidi anticipati sui social. Ne abbiamo parlato con il professore Daniele La Barbera, psichiatra e primario al Policlinico di Palermo.

Professore La Barbera perché assistiamo a questa deriva morale? A questo senso del non limite?

Agli episodi che lei menziona aggiungerei quello recentissimo, non meno inquietante, dei cinque giovanissimi, tra cui due minorenni, che a bordo di un auto, tra Terracina e San Felice Circeo, sparano ai passanti con un fucile ad aria compressaferendone sette, tra cui una guardia giurata. Come se non si trattasse di persone reali, ma dei personaggi di un videogame, come se gli spari avvenissero dentro uno schermo e non nella realtà, dove rischi di uccidere, menomare, accecare qualcuno. Direi che in tutti i recenti fatti di cronaca che raccontano di episodi efferati o immotivati di violenza e abusi, emerge questa perdita del senso del reale, questo intreccio continuo tra la vita vera e gli ambienti virtuali del web e dei social. Persino nell’ultimo terribile femminicidio di Marsala, l’assassino subito prima di uccidere la sua ex compagna ha sentito la necessità di postare una loro foto del passato che li ritraeva in un momento lieto, corredata da una frase romantica. Direi che questa preponderanza estrema dell’elemento tecnologico nella vita – soprattutto, ma non solo dei ragazzi, e il suo effetto sul neurosviluppo e sulla maturazione psichica è un primo elemento sul quale riflettere e che forse stiamo drammaticamente trascurando. Credo che stiamo infatti sottovalutando la capacità di questi strumenti e degli ambiti di esperienza ai quali consentono di accedere di modellare il funzionamento psichico, favorendo lo sviluppo della componente istintiva, irrazionale ed emotiva e inibendo le capacità riflessive e quelle deputate alla percezione dei significati e delle conseguenze delle proprie azioni.

Si dà la colpa a scuola e istituzioni. Non stiamo forse pulendo i nostri coltelli sporchi dove é più comodo?

Ritenere che siano le istituzioni e la scuola i responsabil di questa deriva ideativa e comportamentale è una di quelle semplificazioni che oggi sono molto utilizzate in certi ambienti politici e che anche i mass media tendono a privilegiare. Oggi molte persone danno più credito a uno slogan, a un concetto rudimentale e sgangherato, piuttosto che dedicare tempo a un pensiero più articolato e circostanziato. Di nuovo, preferiamo far funzionare il cervello rapido ed emotivo, piuttosto che quello lento e meditativo. Così, dire che il problema dell’attuale tendenza regressiva che si verifica in alcune fasce adolescenziali sia tutta responsabilità della scuola significa non tenere conto che tutta la nostra società e la nostra cultura da anni sono sottoposte ad un cambiamento molto veloce, e quindi critico e problematico, al quale non siamo riusciti a stare dietro. Allo straordinario progresso tecnologico non ha corrisposto un’evoluzione della coscienza e del pensiero, col risultato che abbiamo a disposizione mezzi potentissimi che non riusciamo a governare e a utilizzare in modo funzionale. Naturalmente – e inevitabilmente – anche la scuola è parte di questa crisi di sviluppo straordinaria e forse non si insiste ancora abbastanza nel sottolineare che oggi il problema con i bambini e gli adolescenti è l’educazione alle emozioni e agli affetti e che bisognerebbe puntare sulla qualità della relazione e dell’incontro didattico ed educativo piuttosto che privilegiare la smania di realizzare progetti e intercettare finanziamenti. Oggi siamo di fronte ad un colossale problema educativo chiaramente ecosistemico, che coinvolge la scuola così come la famiglia, le agenzie educative, le istituzioni, la politica.
D’altro canto c’è anche da considerare come l’indebolimento del principio di autorità abbia investito fortemente anche la scuola; il passaggio ad una società orizzontale che non riconosce più ruoli e gerarchie ha favorito la rottura del patto educativo tra corpo familiare e corpo scolastico, rendendo ancora più difficile e complesso il ruolo educativo degli insegnanti ai quali oggi, sempre più spesso, i genitori chiedono con insistenza di non porre alcun limite all’esuberanza e alle intemperanze comportamentali dei loro figli”.

Di contro il genitore si sente impotente, non sa arginare l’isolamento dei figli e l’uso eccessivo di dispositivi elettronici. É davvero così?


I genitori possono fare molto, principalmente assicurando presenza e ascolto, attenzione e coerenza, fermezza e capacità di trasferire ideali, principi, regole di vita e, soprattutto il senso del limite, oggi così frequentemente messo in discussione.
Ma, come dicevo prima, oggi dobbiamo tenere conto dell’influenza molto intensa che gli ambienti e le relazioni virtuali hanno nel plasmare i meccanismi mentali dei giovanissimi. La loro capacità di influenzare scelte e comportamenti spesso è molto superiore alla capacità dei genitori di orientare ed educare, specialmente se i genitori non riescono a fornire modelli adeguati e credibili.

Esiste, secondo lei, un momento in cui é iniziata questa povertà umana, che pare rendere tutto legittimo?


Difficile stabilire un unico punto di partenza di fenomeni di mutamento psichico e sociale molto ampi e complessi, che si sono intrecciati tra di loro, amplificando la portata delle loro conseguenze. Tutta la seconda metà del secolo scorso è stata attraversata da una serie di eventi e dinamiche che hanno preparato i cambiamenti degli ultimi 25 anni. Direi che uno dei più significativi è stato il ’68 con la sua rivoluzione culturale che se da un lato ha rinnovato il pensiero, la cultura, l’arte, dall’altro ha messo in discussione il principio di autorevolezza, con il risultato che siamo
molto velocemente transitatida una società e da un’educazione eccessivamente autoritarie e repressive ad una società e un’educazione prive di autorità, per le quali a volte sembra che risulti sconveniente finanche fornire semplici regole morali o elementari norme di vita. La rapidità di questa trasformazione della psiche collettiva è stata poi accentuata dalla violenta intrusione delle tecnologie digitali e dei nuovi media, che hanno ulteriormente accentuato una dimensione di tipo narcisistico-onnipotente per la quale sembra che tutto sia lecito e consentito e che ha reso obsoleti il sentimento di responsabilità e il senso di colpa per il danno che può essere causato all’altro. E lei dice bene quando parla di povertà, perché soltanto un grave immiserimento dell’umano può spiegare cosa spinge un piccolo branco di adolescenti balordi a gioire nel prendere a calci una capretta, animale che per antonomasia stimola sentimenti di tenerezza e accudimento: dove sono finiti la compassione, la protezione della vita, la percezione del male che posso fare a un essere indifeso, la valutazione delle conseguenze del mio gesto?

Cosa può darci la speranza di potere salvare le nuove generazioni, a partire dai bambini?


Partirei proprio dal notare come uno degli effetti di una civiltà dominata da media orizzontali e pervasivi è la forte amplificazione degli eventi spettacolari, laddove per la mente disfunzionale dell’uomo contemporaneo ogni fatto clamoroso, anche se drammatico e tragico, viene rubricato tra questo tipo di eventi.
Un esempio terribile di quello che sto affermando è rappresentato dalla caccia inarrestabile scatenatasi sui social per recuperare il video che riprendeva le scene dello stupro del Foro italico. Ciò porta a dare molto spazio ai fatti estremi, negativi, dolorosi, ma che attraggono morbosamente l’attenzione dei social e rimbalzano ripetutamente da una pagina all’altra, piuttosto che ad avvenimenti di ordinaria bontà, abnegazione, altruismo, solidarietà, spirito di sacrifico. Dovremmo fare in modo, nel tentativo non facile di ricostruire una grammatica elementare degli affetti e dei sentimenti, di valorizzare e rivalutare tutte le cose buone che accadono attorno a noi e che passano inosservate perché non fanno notizia. Questo è uno dei tanti spunti possibili, e anche in questo caso dovremmo stare attenti a non peccare di un eccesso di semplificazione che risulterebbe ancora fuorviante. Il problema della povertà educativa è infatti complesso e di non facile soluzione perché una serie di dinamiche fortemente diseducative si sono già attivate da anni e i loro effetti sul neurosviluppo e sulla sfera cognitivo-affettiva sono già molto evidenti a chi ha occhi per vederli e interpretarli. Occorrerà quindi uno sforzo sistemico ampio e articolato per contrastare questo trend negativo e disumanizzante, che passi attraverso una rivoluzione pedagogica, un sostegno alla genitorialità, un’educazione degli educatori. Uno sforzo di questo genere chiama inevitabilmente in causa tutta la società, e coinvolge la gran parte delle sue istanze e delle sue risorse.

Cortei, raccolte di firme e panchine rosse servono davvero o dovremmo  utilizzare altri strumenti?

 Se cortei e manifestazioni potessero cambiare la società vivremmo da tempo in un mondo perfetto! Eppure queste prese di posizione hanno la loro importanza perché segnalano una reazione, denunciano un fatto inaccettabile, sensibilizzano le coscienze. Purtroppo su 100 che manifestano, 10.000 non sanno neanche perché stanno manifestando i 100, ma proprio per questo quei 100 hanno un’importanza straordinaria perché rompono il muro dell’indifferenza e della insensibilità al male, il peggior pericolo che la nostra società e la psiche collettiva si trovano oggi ad affrontare.

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