L’assenza è essa stessa una presenza. La dottoressa Ivana Dimino, psicologa e psicoterapeuta, ha pronunciato questa frase nel corso della presentazione, a Sciacca, di un libro dedicato alla maternità. Mi ha colpito molto questa frase poiché parla di un’occorrenza sulla quale si riflette poco, ma che, se ci soffermiamo giusto un attimo di più, è un assioma perfetto. Quante volte ciò che non abbiamo ci opprime come un ingombro tra pancia, cuore e cervello? Quanto più forte può essere il macigno dell’assenza genitoriale nei confronti di un bambino? Quando parliamo di assenza non ci riferiamo esclusivamente alle coppie di genitori separate o ai bimbi orfani, ma anche a mancanze più sottili, quasi impalpabili. Le generazioni 3.0 lo sanno bene: tra tate, baby sitter digitali e famiglie mononucleari, la solitudine è una serpe che si insidia con frequenza. Ne abbiamo parlato proprio con la dottoressa Dimino.
Dottoressa, GENITORI ASSENTI ANCHE SE PRESENTI: IN CHE MISURA SUCCEDE?
Dalla mia esperienza clinica di lavoro con bambini, adolescenti e quindi anche con i loro genitori, è sempre più frequente incontrare segnali nei bambini e ragazzi di solitudine, intesa non come l’essere da soli fisicamente, ma sentirsi soli, ovvero percepire dentro di sé quella sensazione di non avere specchi in cui guardarsi e che rispondano ai loro bisogni concreti e psicologici. Ecco quindi comparire segnali di ansia, di angosce, di preoccupazioni fobiche, o di chiusure relazionali, silenzi che parlano di sfiducia verso il mondo che li circonda e che quindi hanno sempre più un’origine familiare.
PERCHE’ SUCCEDE?
Viviamo in un momento storico, sociale e anche psicologico in cui esserci non significa sempre esserci con la mente e con l’attenzione che un rapporto genitori figli richiede. La presenza può definirsi tale se nella mente di un figlio esiste, prende forma, ha concretezza, risponde ai suoi bisogni vitali, il genitore. E allo stesso tempo, può accadere che un genitore, pur essendoci, non ha quella funzione riflessiva fondamentale per sostanziare proprio la sua identità di genitore, nel suo ruolo e responsabilità, oltre che funzione genitoriale.
Potrei dire che succede perché i genitori, sempre più, non si focalizzano sulla relazione, ma fanno della genitorialità un vero e proprio lavoro. Spesso i genitori cercano di offrire tutte le opportunità di successo ai figli, evitando che soffrano, togliendoli da situazioni relazionali da cui possono essere feriti…ecco perché quindi i figli sono riempiti di impegni, vengono controllati in maniera eccessiva, o sono eccessivamente aiutati. I bambini vivono la pressione di dover fare la cosa giusta, che soffoca la loro autostima e il valore di sé e la resilienza, ovvero la capacità di poter tirare fuori le risorse personali per fronteggiare gli ostacoli. Inoltre, questo contribuisce a creare nei genitori ansie, insicurezze e competizione, nel dover avere e creare un bambino perfetto.
L’ASSENZA È ANCHE ESSA STESSA PRESENZA… CI SPIEGHI MEGLIO
Un figlio nasce e cresce all’interno di relazioni primarie, quelle con i genitori, verso i quali sviluppa legami di attaccamento, il principale legame della nostra vita, dalla cui qualità dipenderà anche il modo in cui i bambini e i ragazzi si relazioneranno nel tempo con gli altri.
In genere i bambini nascono da una coppia che si presuppone abbia avuto il desiderio di averlo. Il desiderio di un figlio attiva aspettative, motivazione, attiva la mente genitoriale, fatta di immagini, idee, fantasie circa il bambino e se stessi come genitori, attiva una mente emozionale.
Quando un bambino cresce senza la presenza fisica di uno o di entrambi i genitori, per tutte le motivazioni che possiamo immaginare, l’assenza di quelle figure si “presentificherà”, ovvero determinerà la mancanza, che non è solo una mancanza fisica, ma è la mancanza di tutto ciò di cui un figlio ha bisogno in termini emozionali e che solo un genitore, con la sua essenza e con la sua mente emozionale, può soddisfare.
Un bambino a cui viene a mancare la presenza fisica del padre, ad esempio, vivrà sempre con la presenza dentro di sé di quella mancanza. Sopravviverà, sicuramente avrà a disposizione tante possibilità di colmare l’assenza fisica del padre stesso, ma vivrà sempre con l’impossibilità di godere della sua vicinanza intima e fonte di base relazionale. Questo significa rendere presente, vivo e forte l’assenza.
COME Può UN GENIOTERE RENDERSI CONTO CHE STA MANCANDO DI TEMPO DI Qualità VERSO IL PROPRIO FIGLIO?
Assistiamo oggi a tutta un serie di sintomi e segnali che emergono nei bambini e nei ragazzi, spesso segnalati dalla scuola o da quelle figure che circuitano attorno al bambino, o sono gli stessi genitoriad accorgersene. Ansie, fobie, angosce, preoccupazioni eccesive, isolamenti, ritiri, ricorso eccessivo a strumenti sostitutivi come i cellulari, play station ecc, o comportamenti impulsivi e dirompenti, cali nel rendimento scolastico, disattenzione, disturbi del sonno. Potenzialmente tutti i segnali che i bambini e i ragazzi rimandano possono essere evidenza che qualcosa non funziona nei rapporti genitori figli o che i figli si sentano soli. “Il tempo di qualità” è il tempo dedicato, anche concretamente e fisicamente. E in quel tempo occorre inserire la qualità che è data dalla capacità di un genitore di guardare dalla prospettiva dei figli, guardare il mondo dal loro punto di vista, perché questo permette l’empatia, e consente ad un figlio di sentirsi compreso e consente al bambino di poter avere rispecchiamento della propria mente. Un figlio che presenta dei segnali è un figlio disregolato emotivamente. I genitori efficaci, riflessivi, che mentalizzano, hanno maggiore capacità di cogliere questo disequilibrio e hanno anche il dovere di riportare i figli verso un maggiore equilibrio emozionale. Riorientarli verso una maggiore serenità emotiva è uno dei compiti di un genitore efficace.
QUALI SONO I CAMPANELLI CHE UN FIGLIO SI SENTE SOLO?
Un figlio può manifestare molteplici segnali di disagio o di solitudine. Il più delle volte è nei comportamenti che si riscontra il disagio percepito, o anche nei silenzi. Ci sono bambini che si iperattivano, che agiscono comportamenti impulsivi, poco pensati, anche pericolosi per sé o per gli altri, perché immaginano, temono, cercano di comprendere se possono ancora avere dei punti di riferimento a cui rivolgersi. Se pensano che i genitori non li stiano più pensando, o se hanno l’idea che sono troppo impegnati in altro, cercheranno di affrontare il mondo da soli, faranno finta di essere grandi e magari useranno la forza fisica o il corpo, agitato e iperattivo per fronteggiarlo.
Ci sono bambini invece che possono rispondere con il silenzio, chiudendosi, “sparendo”, dal mondo, perché lo stesso senso di abbandono che possono vivere, fa si che si pensino di troppo, in colpa, si vergognino di loro stessi, scegliendo l’isolamento e la chiusura come modalità protettiva per sé.
COME Possono ESSERE AIUTATI DA FIGURE GRAGARIE?
In genere i bambini vivono in altri ambienti, oltre quello della famiglia e non è raro che anche in questi ambienti si manifestino i segnali di malessere. Gli insegnanti e la scuola possono accorgersi di qualcosa che non va, ma è importante anche per loro avere una “mente emozionale” tale da saper leggere i segnali e per fare in modo che nel rapporto con loro, i bambini possano trarre stimolo e risorsa per affrontare i loro momenti difficili. Non sempre però questo accade. I nonni sono le figure quasi sempre “buone” che stanno con i nipoti in funzione genitoriale, ma che non sono però i genitori e i figli chiedono ai genitori di accompagnarli nella crescita.
Ivana Dimino é psicologa e psicoterapeuta.
Specialista in psicologia clinica e in psicoterapia psicoanalitica dell’ infanzia e adolescenza. Esperta in psicologia forense e psicologia scolastica.