La paura si alimenta di se stessa. Più ne infili dentro il cuore, più questa ti rimbalza tra la pancia ed il cervello. La paura paralizza ed è il peggiore male tra i mali conosciuti.
Ieri, quella paura che ha un nome ed un cognome, è tornata a tamburellare sul tavolo delle nostre coscienze.
Una serata dicembrina, un martedì qualsiasi, la maggior parte delle famiglie accomodate a tavola per la cena. Dalla tv esce una di quelle notizie che scosta l’attenzione da “tutto il resto” e la paralizza su se stessa. Spari a Strasburgo al mercatino di Natale, si parla di due morti (bilancio che poi aumenta) c’è l’ombra del terrorismo.
Torna l’incubo terrorismo
Poche parole chiave e torna l’incubo. Torna mentre non te lo aspetti, quando hai dimenticato la sequela di attentati e l’alfabeto della sicurezza, dei controlli, dell’allerta, del terrore collettivo. Torna la paura peggiore, quella individuale. Quella che ti fa guardare indietro mentre passeggi nel centro della tua città. È sufficiente un rumore, un contrappunto, l’idea di un passo felpato ed il cuore accelera il ritmo. Ti guardi alle spalle e se era solo una vecchietta con il suo carrellino della spesa, tiri un sospiro di sollievo e vai avanti. Se però dietro di te intravedi un rischio, un uomo di colore, uno sguardo maldestro, allunghi il passo o lo lasci superare. Probabilmente quell’uomo è simile a te, ha le tue stesse paure, i medesimi pensieri. A te però innesca quel meccanismo oscuro, che si lascia spiegare solo in parte, che trancia entusiasmi e progetti.
Il terrore dopo gli attentati
Succede questo all’indomani di un attentato come quello di Strasburgo. Successe la stessa cosa all’indomani del Bataclan, del lungomare Des Anglais a Nizza, della Rambla a Barcellona. Non succede a tutti, ma capita a tanti. Ed accade a una manciata di giorni dal Natale. Quando in molti stanno preparando i bagagli per raggiungere la famiglia lontana, nipotini si preparano a riabbracciare i nonni, famiglie intere sono pronte per quella vacanza organizzata da mesi. Possibilmente non rimanderanno, non parleranno dei loro timori, confidandoli soltanto ai loro cuori. Però la paura c’è perché è tornata. L’interruttore che la accende è stato premuto un’altra volta. Maledetta paura che arrivi quando pensavamo che fossi sparita per sempre.
La paura ed i nostri bambini
Una volta, con un noto neuropsichiatra infantile, il dottore Emanuele Trapolino, durante un’intervista parlammo delle paure che i genitori trasmettono ai figli. Perché i bimbi sono spugne, arrivano alle cose sempre un attimo prima dei grandi. Il dottore rassicurava: non si deve fingere, ma di deve imparare ad ammaestrare le proprie paure, cosicché non vengano elaborate (non del tutto) dai piccini. Più recentemente, la psicologa Valeria Augello scriveva su questo giornale dei nostri bimbi come di una generazione nata con l’abitudine dei controlli, dei metal detector, delle divise agli aeroporti, ai musei, nei centri delle grandi città. Loro, paradossalmente, avvertono meno di noi il clima di “allerta” perché sono nati nell’era dell’allerta. Per noi adulti il discorso è diverso. Noi il terrore lo incameriamo, lo teniamo da parte e lo risvegliamo, quota su quota, a ogni nuovo input, a ogni foreign fighters che spara. A ogni criminale, che potrebbe essere dentro un enorme meccanismo del terrore o una semplice mina vagante “senza credo ed etnia” come possono essercene tante, financo nell’anonimo borghetto incastonato tra i monti.
Delitto di progetti
Quanto accaduto ieri ci fa piangere anzitutto vittime innocenti, ma assassina subdolamente migliaia di progetti, di piccole serenità quotidiane costruite con fatica, nell’era degli imprevisti e delle poche probabilità. Al mercatino di Natale di Strasburgo sono state spente 4 vite e sono state accese milioni di paure. Da un capo all’altro d’Europa. E la paura è un male brutto, vorace, che si ciba e cresce di se stessa. Se oggi abbiamo paura per noi e per i nostri figli probabilmente abbiamo tutte le ragioni. Dobbiamo però sforzarci di capire che la paura è l’obiettivo di chi spara. Più ancora del sangue, più ancora della conta dei morti, più di tutto il resto. Perché quattro vite valgono quanto un’intera umanità, ma l’umanità deve continuare a sopravvivere.