A due anni dall’inizio della pandemia è cambiato il virus, sono cambiati i pazienti ed è cambiato anche l’approccio medico/scientifico.
Due anni che hanno rimodulato il modo di vivere di ciascuno, acuito estremamente la consapevolezza dell’essere frangibili e ridimensionato drasticamente le relazioni sociali.
Alla malattia organica si è aggiunto o addirittura sostituito il disagio emotivo. Per il 31 marzo è fissata la fine dello stato di emergenza, anche se i numeri dicono tutt’altro. Contagi ancora a troppi zeri e reparti Covid che fanno difficoltà a svuotarsi.
Abbiamo voluto fare un consuntivo con gli esperti.
Con il professore Antonio Cascio, infettivologo e primario al Policlinico di Palermo, con la professoressa Claudia Colomba, infettivologa e primaria al Di Cristina di Palermo e con il professore Daniele La Barbera, psichiatra e primario al Policlinico di Palermo.
Professore Cascio, due anni di pandemia, cosa è cambiato?
Tante cose: il virus è mutato più volte ed oggi si presenta in una variante, la Omicron, contagiosissima ma anche meno pericolosa. É cambiata la popolazione, che oggi, tra vaccinati e immunizzati dalla malattia, ha indubbiamente una copertura maggiore. É cambiato l’approccio medico: abbiamo a disposizione i vaccini e ad altri ancora ne avremo a breve, studiati ad hoc per prevenire le nuove varianti. Mentre due anni fa si curavano i malati per tentativi, oggi abbiamo delle terapie antivirali mirate alla cura del Covid, abbiamo a disposizione le terapie con anticorpi monoclonali, sappiamo gestire il malato con sintomi lievi a domicilio e soprattutto abbiamo una contezza di gran lunga maggiore di quello che, all’inizio dell’emergenza, era un nemico invisibile e del tutto sconosciuto.
Come prevede saranno i prossimi mesi?
Mi auguro che ci si liberi dalle mascherine, del resto ho sempre sostenuto che i vaccinati non debbano indossarle. Mi auguro che l’estate sia una stagione di ripresa serena del turismo e della circolazione delle persone nei luoghi dello svago, senza il terrore del Covid. Affinché ciò sia possibile è fondamentale vaccinarsi e completare il ciclo. Auspico anche delle regole più snelle nella gestione delle quarantene, così da non mandare in tilt non solo l’ambito sociale, ma anche quello psicologico. Reputo inoltre auspicabile un’eliminazione del Greenpass per le attività comuni, quali entrare in un negozio ad esempio. Comprendo che il certificato verde possa rappresentare una garanzia di tutela, ma lo reputo necessario solo in certi ambiti: per accedere o lavorare in una casa di riposo per esempio, per accedere in luoghi di aggregazione, nelle scuole. Sicuramente non per acquistare un vestito.
I contagi sono ancora molto alti. Dove è più facile beccare il virus?
Mi viene di pensare alle grandi tavolate al chiuso per esempio. Quando si uniscono più nuclei familiari, il rischio di contagiarsi è alto. Ovviamente essere vaccinati previene di gran lunga l’esordio di sintomi importanti. Premetto che è giusto e legittimo, dopo anni difficili, desiderare una vita sociale normale, a maggior ragione se si è dato fiducia al vaccino. Ahimè si deve mettere in conto il rischio di positivizzarsi,ma anche la consapevolezza che se si è vaccinati, giovani (ma anche adulti) e non si hanno patologie particolari, il rischio di avere forme importanti di malattia è davvero basso. Anche la scuola, ahimè, è un vettore di contagio, però va precisato che questo avviene non durante le lezioni, ma quando ovviamente i ragazzi si aggregano davanti l’istituto o per la ricreazione. Anche in questo caso, va da sé che il vaccino è utile per evitare sintomi importanti.
Covid e bambini, un altro nodo centrale. Se a inizio pandemia i più piccoli sembravano impermeabili alla malattia, oggi non è più così e lo conferma la professoressa Claudia Colomba.
Professoressa Colomba, quale è la situazione Covid al Di Cristina?
Ahimè l’ultimo bimestre è stato molto impegnativo. Abbiamo ricoverato da inizio anno circa 300 bambini. Se considerate che dal marzo 2020 al dicembre 2021 ne avevamo ricoverati meno di 400, potete ben capire che oggi il Covid è diventato una malattia di forte interesse pediatrico. I bimbi si contagiano ed a loro volta contagiano. Omicron si conferma altamente diffusiva anche per la popolazione dei più piccoli.
Quali i sintomi che osservate con maggiore frequenza?
Fortunatamente non abbiamo osservato casi particolarmente gravi. Il Covid nei bimbi si presenta generalmente con febbre anche alta, dolori articolari, episodi di tosse. I neonati vanno attenzionati in maniera molto particolare, così come i bimbi compromessi. Abbiamo osservato talvolta anche il cosiddetto neurotropismo, ossia una localizzazione del virus nel tessuto nervoso, con sintomi conseguenti, quali le convulsioni, in presenza ma anche in assenza di febbre. Si tratta di casi specifici e non della norma. Sono sintomi che riusciamo a gestire con efficacia e in tempi brevi.Trattandosi di un virus nuovo, la prudenza è d’obbligo e si relaziona al fatto che non possiamo prevedere con certezza né il prima, né il dopo.
Il post Covid può essere complesso?
Può succedere che si verifichino le cosiddette Misc. sindromi infiammatorie multisistemiche, che riguardano due bimbi ogni 4000 contagiati. La Misc è una sindrome infiammatoria, che può riguardare tutti gli organi del corpo e causare le tanto temute miocarditi. Ripeto però che si tratta di numeri piccoli, che non devono generare fobie nei genitori. Sono state osservate anche problematiche metaboliche, endocrine, psichiatrice, ma fortunatamente sempre in una percentuale bassa di pazienti.
Come consentire ai nostri bimbi una vita quanto più possibile normale, senza il terrore del Covid?
La vaccinazione è la strada maestra. Se è vero che molti bimbi vaccinati si sono positivizzati, è anche vero che non hanno avuto sintomi complessi e che non hanno corso il rischio né del long Covid (stanchezza, affanno, aritmie, difficoltà di concentrazione), né delle implicazioni post Covid di cui abbiamo parlato. Ahimè nelle ultime settimane abbiamo verificato una rallentamento nelle vaccinazioni, che mi auguro sia solo passeggero. Il vaccino è sicuro ed è importante per tutelare i nostri bimbi e per consentire loro. una vita quanto più normale possibile. Al contrario staremo sempre nel dubbio e nel terrore del contagio e delle conseguenze di questo.
L’aspetto psicologico è fondamentale. La pandemia ha messo in ginocchio l’emotività per via della privazione della normalità. Ne parliamo con il professore Daniele La Barbera, psichiatra e primario al Policlinico di Palermo.
Professore La Barbera, due anni di ‘non- normalità’, sono un po’ troppi?
Due anni fa, quando iniziò tutto, durante un’intervista dissi che avremo avuto energie e risorse tali da poter superare tutto. Mi riferivo in particolare ai bambini e ai ragazzi, che più degli altri soffrono le conseguenze emotive della pandemia. Questa condizione, che lei definisce di ‘non-normalità’, dura effettivamente da tanto tempo. Sono però sempre ottimista: gli esseri umani hanno una capacità di riparazione davvero incredibile e sono fiducioso che anche in questo caso sarà così.
Quali i rischi maggiori di questo difficile periodo a tempo indeterminato?
La possibilità e la capacità di socializzare hanno avuto sicuramente delle ripercussioni importanti. La pandemia è iniziata con il lockdown, che di fatto imponeva di rimanere a casa e di non incontrare alcuno al di fuori dalla propria ‘bolla’. Da lì è nato il timore che relazionarsi con l’altro potesse causare un contagio potenzialmente gravissimo. Si è creata una barriera fisica, ma anche emotiva con gli altri e una consapevolezza marcata che stare vicino può significare ammalarsi. Occorrerà scardinare queste convinzioni e ci vorrà del tempo, ma sarà possibile. Ricordiamoci che ci sono nonni o genitori molto anziani, che hanno vissuto il dramma della guerra, della povertà, della fame, della privazione di tutto. Eppure hanno guardato alla vita con fiducia ed ottimismo. Hanno saputo ricominciare con una spinta rinnovata. Erano altri tempi, ma resto sempre fiducioso nella capacità riparativa del genere umano.
In molti vivono l’uscire dal guscio con terrore, per sé, per i propri figli, quali i suoi consigli?
La pandemia è una problematica reale. Il Covid esiste ed occorre stare attenti. Ovvio che servono cautele prima di aggregarsi in tanti e senza alcuna regola. Chiudersi in casa (o chiudere i propri figli, bimbi o adolescenti che siano) è un errore, che può essere molto nocivo. Se il contagio ci terrorizza, prediligiamo gli spazi aperti: facciamo lunghe passeggiate, incontriamo gli amici all’aperto, in riva al mare, in un parco. Facciamo con i nostri figli la stessa cosa. Non chiudiamoci nella gabbia sicura di casa nostra e soprattutto non rifugiamoci nei device: tablet, telefonini e via discorrendo. Rischieremmo di entrare in un circolo vizioso, che peggiorerebbe le cose. Ci vuole cautela, ma mai terrore fobico. E serve la speranza che tutto questo passerà e che riavremo tra le mani una vita normale.