Quasi ogni sera, durante la cena o prima di andare a dormire, i miei figli, a turno, mi chiedono la stessa cosa: “mamma, mi racconti una tua storia da piccola?”.
Stufi delle fiabe classiche sempre uguali, fino a poco tempo fa, in realtà, mi esortavano ad inventare, di getto, una storia che appagasse dettagliate condizioni: che i protagonisti fossero fratelli con tre anni di differenza (chissà perché!), che non ci fossero troppi particolari fantasiosi e animali parlanti, che durasse intorno al quarto d’ora, che fosse spaventosa nella giusta dose, ma che avesse anche riferimenti più o meno velati con la realtà di loro conoscenza.
La mia storia anni ’80
Capirete che, non di rado, dopo una lunga, anzi lunghissima giornata, la mia inventiva nel raccontare storie fosse letteralmente esaurita, per non parlare di alcune sere in cui, con i neuroni imbalsamati dalla stanchezza, il mio cervello fosse poco reattivo all’improvvisazione del momento.
Finché una sera ho ovviato a questa carenza creativa raccontando loro una mia “storia da piccola”. Ha fatto così tanto furore che, da quel momento in poi, ho dovuto spremere le mie meningi mnemoniche per ricordarmi aneddoti legati al mio passato di figlia, bambina e sorella di due fratelli. Anna e Niccolò ascoltano rapiti e basiti questi miei ricordi sia perché come ogni figlio che si rispetti, anche loro, non riescono a concepire che la mamma abbia avuto un’infanzia sia perché il contesto storico che racconto è legato agli anni ’80 e come fai a non rimanere indifferente al favoloso mondo degli anni ’80.
Gli occhiali anni ’80
Ebbene sì, cari bimbi di oggi, quando ero piccola io se avevi l’occhio pigro andavi in giro con una benda sull’occhio buono come se dovessi imbarcarti su un galeone di pirati, ma non quelli fascinosi alla Jack Sparrow, gli altri; se poi l’occhio continuava a non funzionare ed eri costretta a mettere gli occhiali, avevi l’imbarazzo della scelta tra la montatura tonda e rosa per le femminnucce e quella tonda e celeste per i maschietti, stop!
Bim bum bam
Quando ero piccola io, la tv non si accendeva con il telecomando, ma con dei pulsanti fissi sullo schermo e gli orari dei cartoni animati erano solo quelli e sempre sullo stesso canale, pertanto non era necessario alzarsi continuamente per cambiare canale, anzi rimanevi lì incollato sulla sedia a vedere tutta la programmazione di Bim Bum Bam con i minuti interminabili di pubblicità che ti caricavano di suspence. Sì perché, cari bimbi di oggi, quando ero piccola io bisognava aspettare SEMPRE. I cartoni animati degli anni ’80 erano così lenti e dalla trama tanto intricata che per fare un goal o vincere un set di pallavolo, Holly e Benji e Mila e Shiro impiegavano una decina di puntate; erano così travagliati che per sciogliere i nodi amorosi di Georgie e di Licia dolce Licia bisognava attendere anni e anni di puntate che in confronto Beautiful ha il dono della sintesi. (A proposito, ma alla fine Georgie con chi si è messa?).
La Polaroid
Anche per una foto dovevi aspettare. Negli anni ’80 il termine “smartphone” non era stato “inventato”, nemmeno il parente “dellAmmmerrica” pronunciava delle parole così difficili, al massimo ti mostrava la Polaroid che, per la sua innovativa tecnologia della stampa istantanea, sembrava arrivata da un altro pianeta; solitamente un “comune mortale” doveva attendere che il rullino terminasse e che il fotografo sviluppasse, senza filtri, quegli scatti perlopiù mossi. Però, cari bimbi di oggi, vi prego, non chiedetemi cos’è un rullino fotografico, sarebbe più semplice farvi capire le nozioni basilari della fisica quantistica. Sappiate solo che, a quei tempi, in quanto a “influencer” avevamo Ciribiribì Kodak, altro che la Ferragni. (Sulla parete della nostra cameretta campeggiava fiero e incorniciato un autoscatto-oggi detto selfie- proprio con lui!).
Le automobili anni ’80
Infine, dovevi avere il dono dell’attesa anche durante i viaggi. Come dimenticare le ferie d’agosto in giro per l’Italia dentro la Fiat Uno. Si partiva con i borsoni stipati nel portabagagli (Trolley, “what’s this”?) e i figli stipati nei sedili posteriori (Seggiolini auto, “what are”?) e, senza tablet e/o giochi educativi, arrivavamo a destinazione 1.000km più in là, sani e salvi, ma senza voce per aver cantato a squarciagola tutte le hits ottantine trasmesse dalle musicassette o dall’autoradio che mio padre staccava ad ogni parcheggio per nasconderla, puntualmente, in un luogo segretissimo. No, cari bimbi di oggi, evitate anche questa domanda e non chiedetemi cosa sia una musicassetta, non saprei come spiegarvelo.
Feste di compleanno anni ’80
Le feste di compleanno, poi, si svolgevano solo a casa e, oltre agli amichetti, invitavi tutti i parenti fino alla terza generazione; come per magia, per far accomodare tutti, comparivano così tante sedie da far invidia al Salone del Mobile di Milano e, cosa più inspiegabile, alla fine della festa, la casa stessa rimaneva intatta, giusto qualche briciola per terra; il festeggiato, se maschietto, lo riconoscevi dal capello tirato a lucido con la riga di lato; se femminuccia, dal ciuffo in stile tsunami; gli unici gonfiabili con cui giocavi erano quelli chimici che tiravi fuori dai Crystal Ball e le torte scultoree a più piani erano solo prerogativa delle torte nuziali; di contro, però, il buffet (e anche le merendine abituali!) erano un trionfo di olio di palma!
Lo so, anche io come Georgie e Licia dolce Licia, non ho avuto il dono della sintesi e, sinceramente, è difficile ridurre in poche righe lo stile di vita dei mitici anni ’80. Mitici perché, intanto, sono legati ai ricordi dell’infanzia e, in quanto tali, ritornano alla mente malinconicamente innocenti (a parte l’olio di palma!); e poi perché, storicamente e obiettivamente, rappresentano nell’immaginario collettivo di tutti noi un periodo di una serenità tanto spensierata che, ad oggi, sembra quasi impossibile da riproporre.
Noi della generazione ottantina non eravamo belli, ma eravamo “semplicemente” belli e credo che sia questa semplicità ad incuriosire i miei figli. Una genuinità che non dovremmo dimenticare, ma anzi tramandare a questa generazione social figlia della generazione che ha visto nascere i telefonini e che ha assistito alla loro evoluzione da citofonini a smartphone; che sa quanto sia accattivante il piacere dell’attesa e la spensieratezza di una vita senza sovrastrutture; che condivideva e basta; che giocava con il castello dei Masters e non a fare gli Haters.