“Gli ultimi” ti fanno innamorare. Sarà perché viviamo nell’epoca dell’interesse, che rimpicciolisce i grandi sentimenti e apre grandi strade a “cose piccole”. Sarà perché abitiamo la società del filtro, delle sovrastrutture, dell’utile travestito da ottimo proposito. Ho fatto una premessa lunga ma necessaria per raccontarvi una storia singolare, affascinante, ardita, coraggiosa. Ne sono protagonisti Riccardo e Barbara Rossi. Due sposi, che proprio pochi giorni fa, hanno festeggiato il loro terzo anniversario di matrimonio e lo hanno fatto in luogo che è diventato la loro casa, lo scopo delle loro singole vite e della loro famiglia. Sono due volontari della missione Speranza e Carità di Biagio Conte a Palermo. Li ho conosciuti durante un corso di formazione in via Archirafi, il quartiere generale di fratel Biagio. Quello è il tempio degli “ultimi” e mi piace usare questa parola, perché non vi rintraccio alcuna accezione negativa, tutt’altro.
Riccardo, raccontaci la tua, la vostra storia
Comincio da me. Sono un giornalista napoletano e collaboravo in Rai, alla Vita in diretta, collaboravo con diverse testate ed ero addetto stampa dei Verdi, ero, peraltro, un convinto uomo di sinistra. Eppure qualcosa di grande mi mancava. Non ero felice. Ho attraversato una crisi profonda, lambendo anche la depressione. Dopo vari percorsi, lunghi da raccontare, ho scelto di vivere, come volontario, in una casa famiglia di Pedara, un comune etneo. Ho scelto di azzerare tutto e di ricominciare. Lì ho riscoperto un Riccardo che non conoscevo e che era il vero Riccardo. Dedicarmi agli altri, a chi non aveva niente e nessuno. A volte ero gli occhi, altre le gambe, altre ancora le braccia del prossimo, che mi era messo vicino. Va avanti così da 14 anni ed è il senso esatto della mia vita.
Fondamentale è stato l’incontro con Biagio Conte
Ho conosciuto fratel Biagio durante un incontro, uno dei tanti incontri a cui partecipavo al tempo in cui ero volontario a Pedara. Ero direttore di un giornale periodico che si chiama “La gioia” e Biagio mi ha detto: “Ora creiamo il giornale La Speranza.” Così è stato. Sono un volontario ma continuo a essere un giornalista, seppure in una maniera del tutto nuova rispetto a prima. Sono un uomo di pace, mi piace sottolinearlo e anche il mio mestiere deve sempre rispettare questa sorta di diktat. Nella missione, insieme a Barbara, ci occupiamo di testimoniare, di comunicare il nostro obiettivo di vita e più in generale quello della missione. Accogliamo i tanti ospiti, che arrivano per conoscere Speranza e carità, le scolaresche ed anche i giornalisti.
L’incontro con Barbara?
È stato grazie alla missione. Accadde tutto alcuni anni fa, nel periodo in cui Biagio era fortemente deluso dalla società, poco sensibile alle esigenze della missione ed egoista in generale. Biagio voleva andare via da Palermo e da quel momento è partita una cordata di solidarietà indescrivibile. La gente si è mobilitata. Ha dato tutto quanto poteva. Qualche giorno dopo Biagio mi disse di ringraziare i tanti benefattori. Avevamo ricevuto decine e decine di messaggi sui social. Lessi quello di Barbara su Fb. Lei diceva che era importante che ognuno facesse qualcosa. Si ispirava, senza saperlo, a una frase di don Puglisi. Lei stesse diceva che ogni sera portava una pentola di lenticchie in missione. Quel messaggio, così puro, limpido, mi folgorò. Forse mi innamorai di Barbara proprio da quel messaggio. La volli conoscere e da lì è iniziato tutto.
Diamo la parola a Barbara, che ci racconterà la sua versione.
Barbara, parlaci di te, del tuo incontro con Riccardo
Sono ragusana, studiavo architettura e lavoravo a Palermo. Anche nel mio caso il cerchio pareva chiuso. Avevo dalla vita molto di quanto una ragazza potrebbe desiderare. Alle spalle peraltro una famiglia con una solidità umana ed economica. Eppure anche a me mancava qualcosa. La sera tornavo a casa e mi domandavo: la mia vita sarà per sempre così? C’era il vuoto di chi voleva essere più utile. Di chi voleva fare qualcosa di veramente importante e non si trattava di un’ambizione professionale, quanto di un’aspirazione umana. Frequentavo la missione di fratel Biagio quasi quotidianamente. Era un’azione serale che mi faceva stare bene. All’ingresso le due persone che, solitamente, stanno all’accoglienza mi riconoscevano ed erano contenti di vedermi. Io mi sentivo serena, al mio posto. Poi quel messaggio su fb, l’incontro con Riccardo e tutto il resto. Un progetto grande, che mi ha beccata in pieno, proprio mentre mi ponevo tanti perché.
Riccardo e Barbara si sposano tre anni fa tra le campagne etnee. Al loro ricevimento partecipano tante persone, i loro “ultimi” che sono in realtà “i primi” , gli ospiti più attesi. È una festa, un inno alla gioia semplice. I neo sposi ricevono tutto dalla provvidenza: cerimonia, abiti ed il sobrio banchetto. La lista nozze è stata tutta devoluta in carità. La giovane coppia, che, sin dal primo giorno di nozze, si è dedicata all’opera volontaria, ha fatto una serie di giri, per ritrovarsi a Palermo, prima nella missione di Conte, Riccardo ospite e volontario di quella maschile e Barbara di quella femminile. Oggi i coniugi Rossi sono ospiti di una casetta del movimento Presenza del Vangelo (in cui tanto operò il beato Pino Puglisi). Vivono umilmente, però stanno finalmente costruendo il loro piccolo nido.
Riccardo, Barbara, quanto è complicata la vostra scelta?
Riccardo: sarebbe ipocrita dire che è facile. È difficile, lo è parecchio, tanto più per una coppia di sposi. La coppia ha bisogno della sua “singolarità”, facendo i volontari in una missione, che ospita 1100 persone, capirete che questa condizione non è facile. Non sono mancati i momenti difficili, le crisi personali e interne alla coppia. È un continuo mettersi in discussione, ma forse è giusto che sia così. Un anno fa, quando Biagio decise di dormire sotto i portici delle Poste centrali di Palermo in via Roma, io scelsi senza esitare di stare con lui. Ero a Palermo di passaggio con mia moglie. Avevamo prenotato un b&b. I piani furono scompaginati. Da allora non siamo più andati via da Palermo. È una scelta che rinnoviamo quotidianamante.
Barbara: concordo con Riccardo, non è facile, come non lo è alcuna scelta di vita. Però quando penso al mio prima, ricordo le serate vuote, la vita che mi pareva priva del suo senso essenziale ed è così che comprendo che non potrei più vivere in maniera diversa. Sogno di donare ogni giorno dignità a chi potrebbe non averne e vi garantisco che è una cosa bellissima.
Qualcuno potrebbe pensare a una scelta esaltata?
Riccardo: una scelta del genere ti coglie forte come l’amore e allo stesso tempo di porta a ponderare molto. Sinceramente, dando ogni cosa, si riceve più di quanto si possa immaginare. Sembrerà un luogo comune, ma è una grande verità. La vita di prima si scontrava con la delusione procurata dai calcolatori, di chi voleva sfruttarti, di chi puntava solo al successo personale. La vita di oggi è altro: ho imparato a fare iniezioni e flebo ai tanti malati della casa famiglia di Pedara. Chi me lo doveva dire? Lì sono stato vicino ai malati terminali. Ogni giorno, in missione, dialogo con persone semplici, che però mi insegnano il vero senso della vita. È questa la mia strada. Non è facile, ma è la vita che ho scelto.
Come vi sostentate?
Barbara: Viviamo di carità. È la scelta che abbiamo fatto. Abitiamo in una casa, offertaci dal movimento Presenza del Vangelo. Abbiamo però scelto di non avere i riscaldamenti, perché in missione non vi sono ed è giusto che noi viviamo come si vive in missione. La nostra è una vita umilissima.
Riccardo: ovviamente la nostra giornata è fatta di tanti impegni. Sveglia presto e via a organizzare le attività della missione: accoglienza degli ospiti che vogliono conoscere questa realtà, poi progetti nei quali crediamo molto: il periodico la Speranza, che vuole essere un altoparlante di quanto accade in missione. Barbara e io siamo complementari nel decollo di questo progetto. Io sono sì giornalista ma mia moglie è una fucina di idee. Quando è venuto il Papa, lo scorso settembre, Barbara si è occupata di gestire i pass. Un lavoro certosino e di grande responsabilità. Poi organizziamo dei laboratori, mia moglie si occupa di quello di sartoria ed insieme stiamo rendendo operativo uno di computer. Facciamo tutto insieme e per gli ospiti della missione, che sono senzatetto, extracomunitari, anche uomini e donne con fallimenti familiari alle spalle. Ciascuno di loro ha un vissuto e una sofferenza profonda. Dare conforto è un altro obiettivo quotidiano. Ci dedichiamo anche alla preghiera, perché Speranza e carità è una missione fortemente cattolica. Sono anche felice di aver centrato un obiettivo. Lo scorso mese con mia moglie abbiamo fatto un giro in alcune regioni d’Italia in cerca di altre realtà, che fossero un ponte per trasferire alcuni ospiti. Ebbene il sogno inizia a realizzarsi, con un ospite accolto in una realtà del centro nord, da dove partirà un nuovo progetto per lui, anche lavorativo. Questa per noi è una grande soddisfazione.
Le vostre famiglie come hanno preso la vostra scelta?
Riccardo: I miei inizialmente non bene. Piano piano, però, stanno comprendendo e ogni tanto ci danno un aiuto.
Barbara: Mio padre è un piccolo imprenditore e quando gli ho comunicato la mia scelta è rimasto basito. Ancora deve metabolizzare, forse spera un passo indietro o forse un giorno accetterà del tutto.
Il vostro sogno nel cassetto?
Barbara esita per una serie di secondi. La coppia poi risponde all’unisono: avere sempre questa forza e vocazione. Dare agli altri senza interessi. Darci agli ultimi, che sono i primi e ci rendono primi.