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Antonella Folgheretti, io giornalista libera professionista e gli stop che mi impone la malattia (e il sistema)

Una giornalista, un’esperta di comunicazione e una grande amante della cultura. La battuta di arresto proprio quando la carriera era in decollo e oggi il punto della situazione sul sistema italiano e la disabilità

Un anno fa abbiamo intervistato Antonella Foglheretti, giornalista e mamma di Misilmeri, in provincia di Palermo, che da anni convive con la sclerosi multipla. Antonella è stata costretta a subire una brusca frenata nella sua promettente carriera di giornalista ed esperta di comunicazione. Ciononostante è un riferimento non solo per chi vive la sua condizione ma per i tanti colleghi che la stimano. Appassionata di libri e cultura in generale, Antonella, malgrado la disabilità, è promotrice di vari eventi culturali ed è tanto attiva sui social dove, con ironia, amarezza e senza mai cadere nella banalità, racconta la sua condizione, talvolta resa ancor più difficile da barriere architettoniche, lungaggini logistiche e falle del sistema. Con  Antonella vogliamo affrontare il tema delle condizioni, delle tutele e delle garanzie per i liberi professionisti, che convivono con una malattia invalidante, che spesso condanna a una disabilità permanente,  che non consente di spostarsi nei modi e nei tempi auspicabili e che costringe a rinunciare a tanto di quanto si vorrebbe e potrebbe fare.

 Quando  la Sm colpisce un libero professionista, cosa succede?

Il professionista, quasi inevitabilmente, perde il lavoro. Il suo tenore di vita ne risente, ovviamente, condizionando pure la famiglia, che, tra l’altro, si trova ad affrontare spese non indifferenti a causa della malattia.

 Qual è oggi la tua condizione lavorativa?

Lavoro saltuariamente e per brevi periodi. Sono la classica persona con disabilità che, pur avendo presentato istanze, persino con gli Avvisi 20 e 22 banditi dalla Regione Siciliana anche per le persone con disabilità, non rientra nei progetti; pur essendo iscritta nelle Categoria Protette non viene chiamata. Il lavoro sarebbe la cura migliore, ma non c’è. Non manca una legge a tutela delle persone con disabilità, badiamo bene. Sono trascorsi 20 anni dall’approvazione della Legge 68/1999, quella, appunto, che dovrebbe tutelare le Categorie Protette. La legge è buona, capace di superare una visione esclusivamente assistenziale delle persone con disabilità e a pone le basi per una loro piena inclusione sociale. In base a questa legge, le imprese con più di 15 dipendenti hanno l’obbligo di assumere persone con invalidità lavorativa superiore al 45%, nella misura di 1 unità se occupano da 15 a 35 dipendenti, di 2 se variano dai 35 ai 50, ovvero, e del 7% dei dipendenti totali se questi superano il numero di 50. A fronte di una legge tanto disciplinata, però, ad essere collocato è solo il 3,5% dei disabili. A vent’anni di distanza rimangono ancora non pochi ostacoli per la piena attuazione e il tasso di occupazione delle persone con disabilità è di gran lunga inferiore rispetto allo standard dei lavoratori senza disabilità. Basta osservare i dati Istat. Corsi, tirocini e stage non hanno portato a uno sbocco lavorativo, oggi meno che mai. In questo scenario ci vuole poco a sentirsi inutili.

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Lo Stato italiano in che modo è vicino a un libero professionista con sm che di fatto però non può svolgere la professione?

Non si parla di un canale privilegiato per i liberi professionisti che si ammalano di sclerosi multipla. Di fatto non c’è nessun canale né privilegiato né comune agli altri portatori di disabilità.

Chi tutela i vostri diritti?

Noi, i singoli, che spesso lottiamo contro i mulini a vento. E l’Aism (associazione italiana sclerosi multipla), che ha svolto e continua a svolgere un gran lavoro soprattutto nelle sedi istituzionali. Ma sono i singoli i veri soldati in questa continua ed estenuante battaglia.

Cosa speri per il futuro in termini di tutela statale in ambito professionale e previdenziale?

Io credo che tutto passi dalla creazione di uno strumento – che solo lo Stato può creare, se ce ne fosse la volontà – capace di accompagnare veramente al lavoro le persone con disabilità. Nessuno vuole restare a casa ad ammuffire, perdendo via via la gioia di vivere, sentendosi sempre più inutile. Tutto passa da qui. Una persona con disabilità vuole contribuire con il proprio lavoro al benessere comune. Deve. Si potrebbe partire da un focus regionale e nazionale sulla occupabilità. Si potrebbe anche lavorare sull’accompagnamento al curriculum, in modo da permettere alle persone con disabilità di presentarsi alle aziende e al mondo del lavoro in modo efficace, mettendo in evidenza le proprie capacità e competenze. Questo non può essere svolto dalle agenzie per l’impiego, occorre un metodo nuovo. Non credo, comunque, che sia difficile immaginare e creare un tale strumento di accompagnamento al lavoro che sia capace di avviare percorsi tra le Università, gli Albi dei professionisti e le aziende e dare così l’opportunità a persone che sono qualificate di non sprecare il risultato ottenuto offrendo loro occasioni di formazione e di lavoro.
Tantissime persone con disabilità hanno capacità e abilità invidiabili, ma vengono viste per ciò che non sanno fare a causa della disabilità. Ma queste capacità, queste competenze e risorse personali sono presenti. Ecco, facciamone tesoro. Penso pure alla figura del Disability manager. I Disability Manager sono professionisti che lavorano nel campo della disabilità. In Italia, il loro ruolo ha trovato una prima legittimazione istituzionale nel 2009. Tuttavia non è stato emanato un regolamento nazionale che definisca la funzione di tale figura in ambito pubblico o privato. Il Disability Manager avrebbe, tra l’altro, “il compito di evitare ogni forma di discriminazione.” Si dovrebbe lavorare anche su questo, che non è una cosa da poco.

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