Intervistiamo la dottoressa Annamaria Picozzi nel suo posto del cuore, la spiaggia di lido Fiori, a Menfi. “Non chiamatelo Menfishire”, sorride lei. Il riferimento è all’etichetta, in salsa simil Toscana, che, da qualche tempo, è stata apposta a quella porzione di terra, mare, coste, vini e vigneti installati nella parte più a sud del fascinoso Belìce.
I meravigliosi cinquant’anni
Annamaria Picozzi porta a spasso i suoi primi cinquant’anni con fascino singolare (nessun belletto quando ci incontriamo. Siamo entrambe in costume da bagno e ciabatte. Le sue chic e con il tacco, è giusto puntualizzarlo), ma che si lasciano tradire da una tempra e da un entusiasmo da eterna ragazza. Annamaria Picozzi parla a ruota libera: di viaggi, passioni, cucina, moda. Sorride. Ogni tanto guarda il mare. Il panorama è da mettere in cornice. È una zona privilegiata quella di Menfi, non è un caso se, giusto dietro l’angolo, i greci, un tempo, presero albergo. Lo sguardo sognante, infilato dentro il tramonto di rosso e di oro, occhiali da sole stilosi (di quelli che ogni donna dovrebbe averne un paio) e tante piccole confidenze da donne. E dire che la dottoressa Picozzi è un giudice, un pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Una lady di ferro? Aggettivo inflazionato. Resta il fatto che ha coordinato indagini con al centro cosche sanguinarie e affari tra i più sporchi della mafia siciliana.
“Parliamo di altro, ci suggerisce. Del resto, Maristella, cara, ci siamo conosciute parlando di altro”.
È vero. Io e la dottoressa Picozzi ci siamo incrociate proprio grazie all’amore per il mare e le atmosfere di Menfi.
Partiamo da qui, da questo tramonto. Perché se ne è innamorata?
“Diamoci pure dal tu. Mi avevi detto che si trattava di una chiacchierata informale. Anzi, facciamo arrivare pure due birrette, che ne pensi? Dicevamo di Menfi. Me ne sono innamorato una quindicina di anni fa. Ho conosciuto questo posto per caso. Amore a prima vista. Qui il tempo si ferma. Scopri l’amore per la lentezza. La mondanità praticamente si azzera. Scopri il bello così per com’è, senza compilazioni. Senza filtri. È così che Menfi, anno dopo anno, è diventato il buen retiro mio e della mia famiglia”.
Tu non sei siciliana. Raccontaci del tuo “approdo” nella nostra isola?
“Io sono anconetana, vivo però in Sicilia da 21 anni, da quando arrivai alla Procura di Palermo a ricoprire il primo incarico della mia carriera da magistrato”.
Un magistrato donna, a Palermo, all’Antimafia. Ti va di parlarci di questa scelta?
“Provengo da una famiglia semplice. Mia mamma casalinga, mio padre militare in marina. Io amavo leggere e scrivere. Forse sarei stata una brava insegnate o forse una scrittrice. Mio papà per me sognava l’avvocatura. Mi ha un po’ indirizzata nella scelta della facoltà di Giurisprudenza. Mi iscrivo a Macerata e già alla prima lezione di diritto l’illuminazione. Comprendo quello che volevo. Mi sono laureata in tempi brevi, quindi la scelta della scuola di magistratura, il concorso e poi la passione per il ruolo di giudice requirente. Pensare di vivere a contatto con le indagini, respirarle, mi inebriava. È iniziato tutto da lì.
come si interseca la sicilia nella tua vita?
“Dopo aver vinto il concorso, vi era la possibilità di indicare la sede. Fui tentata da una procura sul lago Maggiore. Era un posto ambito, ma la mia posizione in graduatoria mi faceva ben sperare. Poi, anche in quel caso, l’illuminazione. A Palermo c’era Caselli procuratore. Erano passati pochissimi anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. Ero un giovane magistrato. Perché non provare? Ed eccomi qua. Undici anni alla procura ordinaria e dieci alla Dda…il resto si vedrà.
La prova è andata bene. Lavori e vivi a Palermo da 21 anni…
Proprio così. La Sicilia mi ha conquistata sotto tutti i punti di vista. Lì vivo la mia relazione più riuscita, ossia quella con il mio lavoro, ma anche il mio longevo matrimonio (sono sposata con un poliziotto e ho due figli, Gabriele 15 e Morgana 13…siamo nel bel mezzo dei tumulti adolescenziali – sorride). La relazione con la vostra terra non è nè retorica nè sdolcinata. Palermo è una città complessa. Un difetto: non vi rendete conto di quanto questa città sia bella. Quasi non vedete le cose belle che avete a disposizione. Eppure non andrei via. Vivo Palermo nel suo ventre, anche in senso letterale, poichè ho preso casa in un quartiere popolare, vitale, fumigante perennemente sveglio. Poi a Palermo ho un luogo del cuore: corso Vittorio Emanuele. L’isola pedonale è una chicca, peccato che ci sia voluto del tempo perché molti residenti se ne rendessero conto. Lì adoro fare golose e lente colazioni nel mio bar preferito.
La dottoressa Picozzi è un giudice social è molto fashion
“Facciamo un distinguo. Fashion mi piace esserlo sempre. Il clichè della professionista bruttina e intelligente e di quella bellina, ma stupida è ormai abbondantemente superato. Amo vestirmi con stile, adoro il dettaglio, ho una grande passione per borse e scarpe (come la maggior parte delle donne direi?). Mi piace essere alla moda anche in rispetto delle tante persone che incontro per lavoro. La magistratura è un mestiere di relazioni. In merito al mio essere social, non coinvolgo mai il mio lavoro. Mi piacciono i social, li reputo un interessante mezzo, ma non per parlare di lavoro”.
Quali sono le tue più grandi passioni?
La cucina (che condivido con mio marito. Siamo due cuochi provetti ed amiamo la panificazione ed i piatti etnici, dal pollo al curry al cous cous), i viaggi (a breve andrò a Madrid ed a Abu Dhabi), la musica (Renato Zero…Spiagge…quanta nostalgia) e ovviamente la moda.
In merito ai viaggi però sarei tentata dal raccontarvi un retroscena…
Siamo tutte orecchie
“Ho vissuto per anni la paura dell’aereo. Era un handicap, anche in termini lavorativi. Un limite per me e per la mia famiglia. Non volevo trasmettere questa paura ai miei figli. I figli sono spugne. Osservano e inconsciamente imitano. Ho fatto un corso di gruppo per superare questa ‘fobia’ e ne sono uscita vincente. Ne sono fiera. Che meraviglia viaggiare leggeri. Che meraviglia viaggiare!
Hai viaggiato tanto anche per lavoro. Raccontaci di un’esperienza, tra le tante, che ti ha lasciato un segno
Indubbiamente la tragedia della nave Poseidon. Ho visto decine di immigrati morti: mamme, bambini, ragazzi. Scene indimenticabili, che provocano dolore e regalano certezze. Non sono mai stata razzista, ma oggi più che mai penso che “miscelarsi” in maniera equilibrata sia una risorsa. Gli immigrati sono persone come noi, vivono però un dramma nel dramma. Spesso perdono l’identità. Muoiono senza che si sappia neppure il loro nome. Ho scoperto che questo è il loro terrore più grande. Ancor più della morte stessa.
Della delinquenza dei neri a Palermo?
Ritengo si tratti di un fenomeno che statisticamente incida tanto quanto la delinquenza bianca. Penso che Cosa nostra resti la forma di criminalità più pericolosa per questa terra.
Torniamo a parlare di passioni. Sulla sdraio vedo un libro…
Non si tratta di semplici letture da spiaggia. Sono una lettrice accanita. Adoro, già dalla mia adolescenza, Milan Kundera e, più recentemente, la trilogia di Elena Ferrante (quanto amore per L’amica geniale e che curiosità di vederne la trasposizione cinematografica). Te l’ho detto, amo leggere, amo scrivere. È così da sempre.
Dottoressa, ti risparmiamo la domanda retorica sulla paura, che si fa a tutti i giudici che si occupano di lotta alla mafia. È un clima disteso. Siamo in spiaggia ed il sole sta andando a dormire verso le saline di Marsala.
Che ne pensi se parliamo di sogni?
“Non voglio sembrare presuntuosa, non ho un sogno nel cassetto. Adoro il mio lavoro, ho una bella famiglia e tante altre cose che desideravo. Non ho più paura di volare e posso tornare ad Ancona dai miei ogni volta che posso. Cosa mi manca?
Aggiungiamo che sei anche una donna bella, dalla conversazione leggera, colta e simpatica?
Sorride.
Ci rivediamo a Palermo, magari in corso Vittorio Emanuele per fare altre quattro chiacchiere?
“Perché no”.
Grazie dottoressa Picozzi e ad maiora!